Se i giovani vogliono capire la nostra vicenda umana leggano “Se questo e un uomo” del vostro Primo Levi
JOS HAMMELMANN – Nella mia qualità di presidente del Comitato internazionale, a nome di tutti i deportati di tutte le nazionalità nel campo di Mauthausen, inoltre anche a nome dei’miei compatrioti del Lussemburgo deportati a Mauthausen, ho l’onore e il piacere di trasmeftere all’Aned i miei auguri più calorosi per il successo dell’XI congresso nazionale e del convegno internazionale. A nome di tutti i miei compagni ringrazio l’organizzazione, che è stata ottima, di questo convegno, ringrazio in particolare la presidenza che ci ha accolto con molta solidarietà e molto calore. 1 delegati di Mauthausen sono molto felici di ritrovarsi una seconda volta nella bellissima città di Prato che abbiamo già avuto il piacere di conoscere nel corso della riunìone del comitato esecutivo nel settembre 1987. Nel 1987 gli ex deportati di Mauthausen ed Ebensee hanno potuto celebrare con i loro fratelli con gioia e soddisfazione la firma solenne dell’atto di gemellaggio tra Ebensee e Prato. Non è quindi per caso che ci ritroviamo una seconda volta in occasione del 50′ anniversario della nostra liberazione qui a Prato, di cui una grande parte della popolazione ha lottato contro il fascismo, ha sofferto e ha trovato la morte nei campi di sterminio di Hitler, e in particolare a Ebensee. Rendo un omaggio molto forte alla memoria delle vittime dello sciopero generale del marzo ’44, a tutti i martiri italiani di questa regione e ai più di centomila antifascisti e resistenti di tutta l’Europa assassinati brutalmente a Mauthausen e nei suoi sotto-campi. Personalmente penso sia stata un’eccellente idea avere scelto come tema di questo convegno la polìtica della memoria, dato che i superstìti dei campi, quindi noi, i testimoni diretti dei crimini nazisti, scompaiono a poco a poco. t quindi importante che il lavoro di questi ultimi testimoni si faccia in collegamento con dei ricercatori e degli storici per salvare la memoria storica. Dal 1993 il nostro comitato intemazionale di Mauthausen e le associazioni nazionali lavorano, come ha detto prima il nostro amico professore, con una commissione internazionale di esperti a Vienna sul futuro del memoriale di Mauthausen. Vi devo segnalare che c’è stato all’inizio di febbraio un colloquio internazionale all’Università di Parigi, dove numerosi storici e deportati francesi e stranieri hanno discusso sulle nuove ricerche e sull’universo concentrazionario nazista. E nel prossimo ottobre il prof. Enzo Collotti organizzerà in Austrìa un congresso scientifico internazionale in cui sarà fatto il punto sul lavoro storico sulla memoria già compiuto; in questo congresso saranno definite le nuove prospettive di ricerca. La nostra epoca accorda una grande importanza alla memoria, parlo di ciò che viene chiamato memoria collettiva, cioè il ricordo che un popolo mantiene spontaneamente, oppure vuole volontariamente mantenere, degli avvenimenti che hanno particolarmente marcato il suo passato e che hanno contribuito a formarlo come nazione. Ogni popolo ha bisogno di ricordarsi della propria storia, e in particolare degli avvenimenti e dei fatti del proprio passato. Se l’uomo guarda la storia è con il desiderio di conoscere il passato; se l’uomo guarda con passione il passato è anche per pre parare l’avvenire. E’ impossibile creare un avvenire se questo avvenire non è radicato nel passato. Questa importanza della storia e della memoria del passato non è sfuggita ai regimi totalitari che hanno segnato il nostro secolo; perché nasca un uomo che si voleva nuovo, un uomo malleabile a volontà, hanno tentato di fare tabula rasa dei passato, hanno ucciso, imprigionato gli uomini e le donne che rappresentavano questo passato, cioè gli intellettuali. Hanno spesso demolito e fatto scomparire i monumenti testimoni del passato. Distruggendo la memoria di un popolo volevano cambiare radicalmente questo popolo, ma hanno toccato la sua anima e la resistenza a questi regimi è stata una resi-
stenza dell’anima, una resistenza spirituale che si è rivelata pìù forte di una rivoluzione armata. Quando gli Europei dell’Ovest si ricordano degli anni ’40-’45, anni che costituiscono uno dei capitoli più oscuri della loro storia nazionale, lasciano passare davanti ai loro occhi questi eroi della Resìstenza, che hanno pagato con il loro sangue il prezzo della libertà. E’ nel coraggio di cui hanno dato prova nei peggiori momenti della tormenta davanti all’aggressore odioso che noi troviamo oggi la forza che ci permette, al di là di tutte le divergenze d’opinione, di sentirci parte di un popolo. Le giovani generazioni non devono essere dimenticate nelle commemorazioni di questi avvenimenti, soprattutto gli avvenimenti che riguardano la liberazione dei campì delle truppe alleate 50 anni fa, poiché i giovani di oggi sono coloro che saranno chiamati a diventare i responsabili della storia. In preparazione delle prossime manifestazioni non dobbiamo dimenticare di dare l’occasione alle generazioni più giovani di capire realmente questa storia, per aiutare queste generazioni a comprendeme il senso profondo. Bisogna difendere questa memoria per fedeltà al passato, ma anche per fedeltà al futuro. Sì, la memoria è testimonianza della nostra fedeltà per il futuro. La memoria individuale dei crimini nazisti e la memoria personale del vissuto è più complessa. Ogni superstite è il testimone diretto di un’esperienza unica, la propria. Con ragione i superstiti si rifiutano ad ogni generalizzazione. Affinché le generazioni attuali e future possano capire la memorialistica concentrazionaria dovrebbero leggere il prezioso libro di Primo Levi “Se questo è un uomo”. Tanti libri sono stati scritti su ciò che è stato vissuto in un campo, ma Primo Levi ha sentito la necessità di fare della sua testimonianza una specie di ammonimento per le giovani generazioni, perché ciò che è già successo può succedere di nuovo. questa stessa attitudine che è stata qualificata come etica che ha fatto di Levi, dopo il suo ritorno dai campi, uno scrittore e che lo ha aiutato a sopravvivere ad Auschwitz. In effetti si potrebbe dire che Primo Levi non ha soltanto testimoniato perché era sopravvissuto, ma che è sopravvissuto ad Auschwitz a causa del suo desiderio dì testimoniare. Per lui questa testimonianza costituisce un alto valore e un dovere morale, è un atto di giustizia da parte dei superstiti verso le vittime, verso la storia, verso l’intera umanità, verso fl futuro sempre minacciato. Il messaggio di Levi è destinato a tutti, non c’è un lamento nel libro che riguarda la sorte soltanto degli ebrei, è l’umanità intera che preoccupa Levi. Egli ha compreso che le persecuzioni antisemite possono costituire un valore universale che non li distinguerebbero dalle oppressioni di altri popoli, al contrario, li unirebbero a loro. Questa preoccupazione permanente che sia l’umanità intera che ha sofferto nei campi emerge da ogni pagina di “Se questo è un uomo”, il che dà a quest’opera la sua dimensione universale. Per il cinquantesimo anniversario della nostra Liberazione è cioè il 5 maggio a Gusen, il 6 maggìo a Ebensee e il 7 maggio a Mauthausen, i superstiti e le famiglie dei nostri cari scomparsi saranno particolarmente graditì. Queste giornate memorabili marcheranno la vita di ogni ex deportato e ricorderanno il sacrificio delle migliaia di fratelli e sorelle, e sarà quindi il momento privilegiato per testimo niare ancora e ancora affinché la memoria rimanga, per spiegare ai giovani l’inferno della deportazione, certo, ma anche soprattutto per incitarli alla vigilanza.
E per questo che tutti coloro che hanno avuto la fortuna di sopravvivere devono esprimere la loro emozione e la loro protesta davanti allo sviluppo di movimenti chiamati a volte nazionalisti, a volte populisti, a volte fascisti o neonazisti, razzisti e xenofobi. Se questi fenomeni si presentano con aspetti diversi secondo i paesi, essi hanno dei tratti in comune: approfittano della disoccupazione, della crisi economica per promuovere le politiche di esclusione che portano danno ai diritti dell’uomo. Voglio citare il premio Nobel francese FranQois Jacob che dice: “Nessimo conosce ciò che farà la storia, niente è mai giocato”. E’ lì la lezione da ricordare e da trasmettere alle giovani generazioni che a volte sono incoscienti della gravità degli avvenimenti politici perché confondono realtà e fantascienza, in un mondo dominato dall’audiovisivo. Gli uomini non sono né buoni né cattivi e ognuno di loro è capace di migliorarsi, ma anche di peggiorare. Qui dunque l’importanza di difendere la democrazia sotto tutte le sue forme e di combattere teorie di esclusione qualunque sia il destinatario. Vi ringrazio per l’attenzione al mio lungo intervento, ma penso che era necessario dire queste parole.

ITALO TIBALDI -E’ giunto questo messaggio: “Spiacente di non poter essere presente di persona invio a lei e a tutti gli aderenti Aned l’espressione della mia sempre viva solidarietà, unitamente all’augurio di buon lavoro per lo svolgimento dell’XI Congresso della vostra associazione. Susanna Agnelli”. La Sezione di Milano dell’Aned offre 5 milioni quale contributo spese per il Congresso. Ringraziamo. La Sezione di Parma offre un milione quale contributo a questo Congresso. Grazie. Pregherei cortesemente, e mi scuso anche per l’attesa, il Presidente del Comitato internazionale di Auschwitz, il nostro grande amico Goldstein, di venire a fare la sua relazione