Intervento di MARIO TARDIVO Ronchi dei Legionari
Care compagne e compagni, ci sembrerebbe pleonastico e tutto sommato demagogico riconfermare, a cinquant’anni dalla fine dell’ultimo grande conflitto mondiale, la nostra fedeltà a quegli ideali, a quei valori intorno ai quali e per i quali tanta parte della gente di questa martoriata Europa ha lottato, ha combattuto, ha bagnato del proprio sangue anche i più sperduti villaggi della terra occupata e minacciata dalla piovra nazifascista. Ma quasi non fossero stati sufficienti gli orrori, i crimini, le stragi, gli olocausti, spirano venti di ripensamento, di “revísione” che tendono se non a giustificare certamente a ridimensionare tutto quello che è costato la guerra in termini di vite umane e di ricchezza materiale perduta. Non che tutto ciò rappresenti una novità, ma è certo che la linea di tendenza in questi ultimi anni si caratterizza per la sua fase ascensionale; e di pari passo sì è andata sviluppando una società che tende a premiare Fegocentrismo e la contrapposizione al solidarismo, la priorità della forza al posto della ricerca e dei momenti di intesa, ecc., culla tradizionale di ogni regime totalitario fascista. Quando negli anni scorsi enunciavamo come pericoloso segnale di involuzione reazionaria non solo gli incendi provocatì dai naziskin di Rostok con l’atroce morte della bambina turca, ma anche soprattutto l’indifferenza di buona parte della popolazione di fronte all’atrocità del gesto e delle sue conseguenze, le aggressioni agli extracomunitari da Roma a Villa Literno. Il quadro si è andato necessariamente aggravando dopo la caduta del muro di Berlino. Naziskin esasperati, intolleranza portata alle estreme conseguenze, separatismi etnici come quelli che insanguinano la terra a noi vicina, e contemporaneamente, in parallelo, il diffondersi dei dispregio delle regole del vivere civile e il progressivo svilupparsi del potere televisivo soprattutto nel nostro paese e che diventa ormai agli occhi di tutti uno straordinario strumento di coercizione che ben può sostituire l’olio e il manganello di fascistica memoria. In presenza di situazioni di questa portata ad associazioni certamente meritorie come la nostra, che per ragioni cronologiche sono destinate a scomparire, e qui si ritorna al tema di prima, cosa rimane da fare oltre a ciò che è stato fatto? Crediamo sia difficile quantificare tanti sono stati gli interventi di nostri generosi compagni nella scuola e tantissime sono state certamente le visite guidate di scolaresche con sia pur rari e volonterosi insegnanti ai campi di sterminio. Occasione straordinaria, non certo per farci commiserare, ma per cercare di dare una rappresentazione il più possibile vicina al vero di quello che fu l’ultimo dei gradini di quella scala di valori lungo la quale è sprofondato il nazismo. Certamente, e lo diciamo con certo malcelato orgoglio, abbiamo fatto quanto stava in noi per raggiungere gli obiettivi che di volta in volta andavamo prefissandoci, così che la nostra opera non poteva che avere un carattere e un risultato limitato nel tempo e nello spazio geografico, ma che contavamo potesse essere di sprone a chi dovrebbe sentire come dovere professionale di portare sul serio la Resistenza con tutti i suoi valori nella scuola. Non crediamo di dire cose nuove se sosteniamo che il degrado di una istituzione come la scuola pubblica ha ormai raggiunto livelli quanto mai deludentì. Sondaggi effettuati su campioni di studenti di scuola media superiore e universitari alla domanda: “Cosa ti ricorda l’8 settembre e il 25 luglio?” qualcuno ha risposto: “Delle festività religiose soppresse”. Certo non è colpa degli studenti. Ci sarebbe quindi da fare un lungo discorso sulla necessità di una riforma seria di tutta la scuola, all’intemo della quale andrebbero rivisti, oltre al resto, i programmi di storia, della stessa didattica, alla luce dei più moderni criteri pedagogici. Ma evidentemente tutto ciò va al di là delle nostre deboli forze, pur in presenza dell’apertura di molti archivi, per cui dovremo concentrare i nostri deboli sforzi su uno solo degli elementi della vita scolastica che, pur non essendo in assoluto determinante, è certamente di primaria importanza, vale a dire la denuncia delle carenze di certi libri di testo che, senza essere degli specialisti, ravvisiamo noi stessi. Impresa ciclopica e che si scontrerebbe certamente con le gattopardesche interpretazioni della libertà di insegnamento, con l’autonomia delle case editricì, e chi più ne ha più ne metta. Ma noi pensiamo e ci auguriamo che l’associazione facendosi carico di una iniziativa potrebbe smuovere energie e volontà che pure esistono ai più variati livelli delle Università e degli Istituti di storia e della guerra di liberazione.
CASTELLANI – Avete visto una cartolina e un manifesto; sono stati creati dagli studenti che hanno lavorato due mesi. Hanno fatto ricerche e il presidente Maris e noi abbiamo fatto una riunione e si è demandato proprio a una scuola di crearci il manifesto dell’XI congresso, e il risultato mi sembra sia evidente. La gioventù, se sì sa spiegare veramente quello che è successo, recepisce e capisce. lo ho tanta fiducia perché ce lo dimostrano. Noi come sezione si lavora come tutte le sezioni e si vedono i risultatì. Il risultato mi è sembrato una grande cosa, quella del nostro manifesto. Questo manifesto è stato creato sotto la direzione di un professionista, un docente universitario che è presente, Paoli, e dobbiamo ammirarlo.
MARIS – Credo sia giusto sottolineare il nostro metodo, come associazione deportati, di parlare con i giovani. Questo manifesto e questa cartolina è opera di giovani e io prego Marco Poli, di portarli qui perché tutti si conoscano. Però voglio sottolineare qual è stato l’atteggiamento dell’Aned. Noi abbiamo detto: questi ragazzi che lavoreranno per rappresentare graficamente il messaggio, non c’è soltanto fl disegno, ma dovevano esprimere il senso della nostra tematica, dare una memoria al futuro, la memoria è conoscenza, la conoscenza è libertà. Quindi questi ragazzi avranno con noi come unico contatto quello della nostra documentazione, poi loro faranno liberamente il manifesto e noi lo accetteremo, qualunque cosa essi facciano. Perché noi sapevamo che non era un rischio, perché i giovani se leggono e sanno poi traducono in valori che sono veri valori. Questo è il nostro atteggiamento, e sapete perché ve lo dico, perché il sindaco di Verbania avendo noi scritto a lui di mandare i ragazzi alla manifestazione dei giovani a Mauthausen il 7 maggio ci ha risposto che non lo poteva fare perché lui ritiene che vi debba essere libertà di informazione, e questa sarebbe stata una forzatura. Ebbene, la libertà di informazione l’abbiamo proprio noi, perché ai ragazzi abbiamo dato l’incarico: fate un manifesto e dite voi a noi he cosa volete. E questo è il manifesto.