In occasione del Giorno della Memoria il presidente dell’ANED Gianfranco Maris ha scritto per il giornale dell’ANPI Patria Indipendente questo articolo.

Il prossimo 27 gennaio le istituzioni del nostro Paese, e non solo quelle scolastiche, dovranno, o, meglio, avrebbero dovuto, per legge, sottolineare, con incontri, discussioni, atti e fatti non soltanto celebrativi, la memoria della deportazione e delle persecuzioni subite dagli ebrei, dagli oppositori politici, dai militari e dai combattenti della libertà nel corso dell’occupazione dell’Italia, dopo l’8 settembre, ad opera dei fascisti e dei nazisti.

Quali sono le istituzioni che hanno anche quest’anno risposto adeguatamente a questa scadenza, profondamente sentita dallo stesso Presidente della Repubblica, il quale, in Roma, parteciperà personalmente alla manifestazione organizzata dalla Confederazione delle associazioni combattentistiche e partigiane?

I segni che si possono cogliere non sono affatto positivi, il clima politico generale è influenzato da valori indotti nel Paese da una politica generale dell’esecutivo che va in tutt’altra direzione rispetto ai valori fondanti della Repubblica e della Costituzione.

Anacronistici ma sintomatici, con una continuità che rivela finalità di memoria fondate su ben altre culture, su veri e propri disvalori, persistono, nel Paese, revisionismi che vedono molti degli eletti della nuova maggioranza nelle amministrazioni locali, in gara tra di loro per rievocare Benito Mussolini come statista o il podestà di Trieste, nominato dai nazisti nel 1943 ai fini di collaborazione, come un uomo che ha dato lustro alla città della Risiera di S. Sabba, o, addirittura per negare il delitto Matteotti persino come fatto storico.

E, su tutto ciò, il silenzio del governo, che sembra non ricordare l’impegno che, soprattutto a lui deriva dalla legge del 12 luglio 2000 n. 211, che impegna la Repubblica a consacrare il 27 gennaio come “Giorno della memoria”.

Presente, stimolante, impegnato è invece il quadro organizzativo della società civile, delle associazioni, dei circoli cooperativi, dei comitati antifascisti.

Nel vuoto delle iniziative governative assume rilevanza etico culturale particolarmente significativa la mostra curata dalla Provincia di Reggio Emilia, che espone, nella sede di Palazzo Magnani, 320 immagini sui campi di concentramento e sterminio nazisti, di una drammaticità sconvolgente. La mostra è stata ideata dal Patrimoine Photografique di Parigi, con la collaborazione del Ministero della Cultura e della comunicazione di Francia, co-prodotta da Palazzo Magnani, dal Fotomuseum di Winterthur e dal Museu National D’Art di Barcellona.

Perché sia chiaro ciò che voglio comunicare, sottolineo che, tra gli ideatori e promotori della mostra, vi è il Ministero della Cultura e della Comunicazione di Francia.

È una mostra che non si può guardare senza angoscia e senza sdegno, ma che realizza un percorso di informazione eticamente fondamentale per le nuove generazioni, perché possa scaturire, dalle loro libere riflessioni su ciò che vedono e leggono, la condanna di questo passato e perché possa nascere in loro, correlativamente, con l’informazione e la cultura recepite, un vero e proprio impegno di vita, una scelta di azione. Sicuramente un approccio emotivo alla memoria del passato, che passi attraverso la conoscenza del delitto, della tortura, della violenza, dell’annientamento dell’uomo, perpetrati dai sistemi totalitari è positivo, ma non è ancora memoria storica.

Ed è questo il punto sul quale desidero soffermarmi, per sottolineare che la memoria storica non è tate quando si limita alla conoscenza dei fatti accaduti.

Per essere culturalmente utile la conoscenza dei fatti accaduti deve essere elaborata, per approdare alla conoscenza del perché e del come quei fatti sono accaduti per giungere, cioè, a conoscerne le cause. Quali erano le situazioni economiche, le organizzazioni politiche, le istituzioni, la giustizia, la scuola, il lavoro, la formazione del consenso e la repressione del dissenso in quel tempo?.

Ecco la memoria.

Solo l’approfondimento di questi temi crea una memoria capace di vaccinare un uomo ed un popolo e di renderli consapevoli di quali siano le avvisaglie e i prodromi di situazioni che possono portare a mutamenti di regime che feriscono, quando non uccidono, la democrazia.

Senza voler fare equazioni di eguaglianza, ma soltanto per ricordare il paradigma generale di qualsivoglia mutamento antidemocratico nella storia dei popoli e nel mondo, è bene sapere che dalla democrazia ci si allontana, per lidi sconosciuti quanto meno, ma sicuramente non democratici, quando si riforma il sistema della giustizia privandolo del fondamento dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e dell’indipendenza dei giudici, quando si riforma il sistema scolastico rendendolo indipendente dai valori costituzionali e affidandolo agli interessi ed al tornaconto del mercato, quando si riforma l’organizzazione del lavoro tentando di delegittimare la rappresentanza politica pluralista dei lavoratori, quando si riforma il sistema informativo privandolo dell’unico suo sustrato di democrazia e di libertà, che consiste nella moltiplicazione e non nella concentrazione dei mezzi di informazione in poche mani.

Questa è la memoria che ha un significato per gli uomini: ricordare i fatti, ma soprattutto le cause che tali fatti hanno prodotto.

Gianfranco Maris
Presidente dell’ANED