Convegno internazionale di studi a Cosenza e a Tarsia

“Una societa senza memoriae una società che si avvia lentamente e inesorabilmente all’afasia e alla morte”.
Ricostruite le vicende del più grande campo di concentramento fascista liberato dagli Alleati poco prima che si compisse il disegno di Mussolini di consegnare gli internati ai nazisti

La presidenza del convegno
Così si è espresso l’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani al convegno promosso nelle giornate del 13 e 14 settembre dalla Fondazione Ferramonti. Una data non casuale, quella del convegno, poichè proprio all’alba del 14 settembre 1943 due autoblindo dell’8ª Armata britannica varcavano l’ingresso di Ferramonti, primo campo in Europa ad essere liberato dagli alleati. A cinquant’anni di distanza da quegli avvenimenti, la Fondazione Ferramonti ha voluto mantenere viva la memoria dell’episodio storico che ne ha ispirato la sua costituzione promuovendo, a Cosenza e a Tarsia, un convegno patrocinato dai presidenti del Senato Giovanni Spadolini e della Camera Giorgio Napolitano, oltre che dall’universita della Calabria, dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dalla Regione Calabria, dalla Provincia di Cosenza, dai Comuni di Cosenza e di Tarsia, dalla Cassa Rurale e Artigiana di Tarsia e dalla Comunità montana “Destra Crati”. Presiedute dal filosofo Franco Crispini, dall’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani e dallo storico Claudio Pavone, le tre sessioni del convegno hanno visto convergere a Cosenza e a Tarsia alcuni importanti nomi della storiografia contemporanea. Klaus Voigt (Università Tecnica di Berlino), Enzo Collotti (Università di Firenze), Anna Rossi-Doria (dell’Università della Calabria), Menachem Shelah (Università di Haifa), Jonathan Steinberg (Università di Cambridge), James Walston (Università Americana di Roma), Claudio Pavone (Università di Pisa), Luigi Intrieri (Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo) e Michele Sarfatti (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), sono gli studiosi che con i loro interventi hanno contribuito a stimolare e ad arricchire il dibattito storiografico sui tragici momenti che l’Italia visse cinquant’anni fa, dall’8 Settembre ’43 fino alla liberazione dal nazifascismo. Una rilettura di quegli anni, dunque. Un ulteriore tentativo di interpretare eventi la cui portata e il cui valore appaiono oggi più che mai controversi se, come ha sottolineato Enzo Collotti, all’interno della storiografia italiana sono emerse pericolose linee interpretative che mirano a far pesare le responsabilità della grave situazione in cui versa l’Italia di oggi, sulle scelte che vennero operate dal nostro Paese nell’anno decisivo della Liberazione. Sono le piccole storie, ha ricordato Claudio Pavone, a fare la grande storia. E le memorie degli internati, le loro micro-storie individuali, hanno trovato ampio spazio nel convegno della Fondazione Ferramonti. “Eravarno in cinquecento su un piccolo battello, intenzionati a raggiungere la Palestina. Nei pressi dell’isola di Rodi naufragammo. Per dieci giomi fummo senza pane e senza acqua e alla fine ci soccorse una grande nave di militari italiani. Dopo circa due anni trascorsi nel campo di concentramento di Rodi, ci trasferirono a Ferramonti. lo avevo diciotto anni”. Queste le parole di Sara Zelmanowitz, tornata da Israele a Ferramonti cinquant’anni dopo il suo internamento nel campo calabrese. Insieme a lei erano al convegno Alexander Demajo, ex ambasciatore jugoslavo in Bolivia; Menachem Shelah, oggi docente di storia contemporanea all’Università di Haifa; Karl Akiwa Schwartz; Samuel Eisestein, professore di psicoanalisi a Los Angeles. Nelle loro testimonianze, che hanno suscitato grande commozione, era leggibile la tragica ambivalenza di un sentimento diviso tra la gratitudine al campo che, di fatto, li ha salvati dallo sterminio, e l’angoscia per ciò che comunque avrebbe dovuto compiersi se la liberazione di Ferramonti non fosse giunta in tempo: la consegna, cioè, di tutti gli internati del campo ai tedeschi, consegna presa in considerazione da Mussolini proprio negli stessi giorni in cui il campo veniva liberato. Presenti al convegno anche i diplomatici David Colvin, dell’ambasciata di Gran Bretagna in Italia; James O’Callaghan, dei consolato degli Studi Uniti d’America di Napoli; Oded Ben Hur, dell’ambasciata di Israele a Roma, e Michael Engelhard, console generale di Germania a Milano. Engelhard, in particolare, ha ribadito come sia impossibile pensare una cultura tedesca indipendentemente dal contributo e dall’indirizzo determinante ad essa (e non solo ad essa) assegnato dalla cultura ebraica, e quanto sia anacronistica l’attuale rinascita dei nazionalismi, data l’inevitabile fusione delle culture che caratterizza la nostra epoca. La manifestazione, affiancata nella giornata del 14 settembre dall’utilizzazione di un annullo postale già molto ricercato tra i filatelici, si è conclusa al cinema Citrigno di Cosenza dove è stato proiettato in anteprima il film di Gabriella Gabrielli “18.000 giorni fa”, liberamente tratto dal libro di Carlo S. Capogreco “Ferramonti – la vita e gli uomini del più grande campo di concentramento fascista” edito da La Giuntina di Firenze. “Se volgiamo lo sguardo all’indietro, aveva ricordato durante il convegno Anna Rossi Doria non è per cercare la storicità del passato, ma la sua eterna contemporaneità”. E i motivi perchè nella situazione attuale si possano rintracciare elementi di un passato tragico sono purtroppo tanti. La Fondazione Ferramonti, con le sue iniziative, si impegna a salvaguardare la speranza contro una realtà che sembra contraddirla spietatamente, nella convinzione che oggi più che mai (per riprendere una citazione circolata durante il convegno) “solo chi crede nei miracoli è realista”. E la firma della prima intesa tra arabi e palestinesi, avvenuta proprio in questo periodo, sembra confermare questa tesi.
Nadia Capogreco