Il discorso di Italo Tibaldi il 6 maggio a Ebensee
La memoria ed il cuore ricordano sempre con disperato affetto i 27.762 compagni di deportazione che qui vissero la mia esperienza, i circa 16.000 superstiti alla Liberazione del 6 maggio 1945, gli 8.745 morti. Mille e mille volti di quanti lasciarono miseramente la loro vita infiammata di speranza.
A questi compagni, talora senza nome e storia, dedichiamo il nostro primo pensiero perché sono caduti nella certezza che l’esempio sarebbe stato fecondo e che la libertà, la giustizia, la pace, sarebbero state le guide supreme dell’umanità. E noi sopravvissuti alla lotta e alla deportazione, e che la morte ha sfiorato, siamo qui a testimoniare anche per loro.
E quindi con naturale commozione che, anche a nome degli 8500 Italiani deportati nel KZ di Mauthausen e nei suoi sottocampi che hanno assolto il loro compito di solidarietà umana e politica, che porgo alle Delegazioni presenti e a tutti i loro rappresentanti il saluto di fraterna amicizia.
Signor Sindaco, in questa Piazza dell’Appello sono oggi presenti nell’aria mille e mille altre città da cui partirono migliaia di deportati dell’Europa: non è un incontro simbolico. E uno scambio di comunità e di umanità.
Con il recente ingresso ufficiale dell’Austria: nel contesto europeo, noi siamo certi che l’immagine e l’eredità dei deportati combattenti delle diverse nazioni in lotta contro il nazismo riaffermerà questa nostra unità come garanzia della salvaguardia delle libertà legate a mantenimento della pace, rivolgendosi contro ogni attacco alla dignità umana e rafforzando il concetto che i rapporti tra i popoli possono solo esser costruiti sullo spirito di reciproca tolleranza.
Siamo operatori di Pace – non per la pace della coscienza, ma per la coscienza della Pace – e sentiamo per la nostra comune esperienza nel Lager l’esigenza di una maggior cultura dì Pace, e non per una pace qualsiasi.
Noi, ex deportati di Mauthausen e di Ebensee, non ci chiediamo se il mantenimento della Pace sia facile o difficile, possibile o impossibile: ciò che sappiamo con certezza è che esso è indispensabile. Ripetiamo, con l’immenso patrimonio morale che rappresentiamo, che non ci sono guerre giuste o sbagliate, tutte distruggono e uccidono e poco importa se con armi convenzionali o nucleari.
Siamo qui, pochi sopravvissuti, a continuare l’impegno assunto di divulgare il messaggio dell’uomo contro ogni intolleranza, ogni violenza, ogni incomprensione, perché la tragica, dolorosa esperienza ci vuole fedeli ad una politica di distensione per realizzare la comune speranza di umana convivenza.
In questo senso la nostra “Resistenza” non è ancora finita e svilupperemo sempre quella fratellanza e unità che venne realizzata nel Lager.
50 anni fa, nel medesimo tempo che le forzo dei popoli uniti contro la dittatura nazista combattevano sui campi di battaglia dell’Est e dell’Ovest, altri nemici del nazismo, solo disarmati fisicamente, continuavano la loro impari lotta nell’inferno concentrazionario dei Lager. Anch’essi, quelli che non sono tornati, hanno avuto la loro vittoria. Essi sono i depositari di una grande verità: essi sanno che per l’uomo è possibile sopportare tutto, e poi vincere e ricostruire sublimandosi nell’ultimo sacrificio.