Il discorso del capitano americano Timothy Brennan

“La mia preoccupazione oggi è che i testimoni di queste atrocità sono sempre meno”

Timothy Brennan era l’ufficiale comandante della compagnia “F’ della 3ª cavalleria meccanizzata (battaglione di esploratori). I suoi soldati scoprirono e liberarono il campo di concentramento di Ebensee.
Questo il suo discorso il 6 maggio scorso a Ebensee.

Sono particolarmente onorato di essere con voi tutti a questa commemorazione di un giorno vissuto 50 anni fa. In quel periodo il generale George Patton penetrò con straordinaria rapidità in Europa. Noi, la 3ª cavalleria degli Stati Uniti, avevamo il compito di proteggere la sua parte destra. Siamo quindi arrivati in Austria. Il nostro comandante, il colonnello Marshall Wallach, ci ordinò di occupare Ebensee. Non abbiamo avuto alcuna difficoltà ad assolvere il nostro compito. Notammo, poi, che gli abitanti di Ebensee si comportavano in modo isterico e ciò ci sembrò strano in quanto gli austriaci non avevano mai avuto paura delle truppe americane.
Quale era allora il motivo di tale isteria? Nella zona periferica di Ebensee si trovava un campo di concentramento, il campo della morte dove si lasciavano morire difame gli uomini. I primi due carri annati che penetrarono nel campo erano sotto il comando dei sergenti Bob Persinger e Dick Pomante. Si imbatterono in uomini della Milizia popolare i quali furono subito disarmati. I fucili li spezzarono sulla torretta dei loro carri armati. Quando siamo entrati dentro il campo, siamo rimasti inorriditi dalla vista di un cumulo di corpi nudi e morti. La maggior parte dei morti erano accatastati vicino al crematorio, altri cadaveri erano sparsi ovunque in tutto il campo. Fummo accolti da una schiera di cadaveri ambulanti. I miei uomini offrirono la loro razione di cibo, cosa che si rivelò presto un errore. Essi divorarono il cibo ed alcuni ne morirono. Per questo motivo abbiamo dato l’ordine che non fosse dato ai detenuti nient’altro che una sostanziosa zuppa.
Oggi, 50 anni più tardi, un’altra preoccupazione mi angustia: i testimoni di queste atrocità sono
sempre meno. Quanti ne sono già morti dalla 45° celebrazione della liberazione del 1990. Ho paura che l’Olocausto cada nell’oblio. La mia paura viene tuttavia accompagnata da una speranza. Nelle scuole e nelle università deve essere insegnato che cosa era l’Olocausto, come viene fatto al centro di studio dell’Olocausto al “Brookdal Cummunity College ” nel New Jersey, dove io, più di una volta, ho avuto
modo di parlare agli studenti sull’evento che io stesso, 50 anni fa, avevo visto con i miei occhi. Un famoso filosofo una volta disse: “Chi non conserva nella memoria la storia, è destinato a ripeterla. ” Dio ci dia la saggezza, la possibilità di ricordare il campo di concentramento di Ebensee e il coraggio di superare l’ideologia che disprezza l’uomo dalla quale è scaturito un tale campo di concentramento.
 

 

Il discorso del sindaco di Ebensee Herwart Loidl

L’Austria deve fare i conti con il suo passato nazista
Come sindaco della città di Ebensee voglio salutare tutte le delegazioni internazionali degli ex-deportati, i liberatori americani, il rappresentante dell’ambasciatore, e tutti quelli che sono qui riuniti in questo giorno significativo.
Come 50 anni fa, anche oggi insieme al dolore per le migliaia di assassini nel campo di concentramento di Ebensee, c’è la gioia dei sopravvissuti per la riconquistata libertà. Nella festa di oggi entrambe le cose devono trovare ampio risalto.
Viene sempre posta la domanda di quanto sia ancora sensato, soprattutto in Austria, ricordare la storia del nazismo. Ci sono al riguardo fondamentali motivi: l’Austria ufficiale ha per decenni allontanato da sé la sua corresponsabilità nei crimini del nazismo. E sempre stato rifiutato il diritto delle vittime e dei rifugiati a un risarcimento e al riconoscimento, con la motivazione che l’Austria era stata anch’essa vittima del nazismo. In questo modo è sempre stato impedito di confrontarsi con la storia dell’Austria nazista.
Ma chi, oggi, vuole seriamente mettere in guardia dall’estremismo di destra, dall’antisemitismo e dalla intolleranza verso gli stranieri, deve riconoscere l’origine di quest’ideologia. E questa origine ha buona parte delle sue radici negli anni 1938-1945.
Un altro motivo per ricordare oggi è profondamente umano. Noi, e soprattutto la giovane generazione, siamo debitori alle mille e mille vittime che non dimenticano la loro sofferenza. In una delle tante pietre tombali-sta scritto: “Possa la nostra morte ridare alla futura generazione la libertà.” Se noi ricordiamo le vittime dell’Olocausto, la morte di migliaia di persone non rimane inutile. Essa ci mette in guardia a sapere usare la libertà con cautela, poiché ci garantisce la democrazia.