Per prima cosa occorre sgombrare il campo da un equivoco: la diffusa confusione a livello concettuale tra deportazione politica e deportazione cosiddetta razziale. Esse furono strumenti per mettere in pratica due imperativi peculiari all’ideologia nazista: a) la repressione totale delle opposizioni, b) la pratica della superiorità razziale. Mentre però la deportazione politica fu il momento dove si consumò il primo obiettivo, la deportazione “razziale” non fu che uno dei momenti nei quali si consumò il secondo obiettivo poiché “la guerra contro gli ebrei”, come la chiama la storica americana Lucy Dawidowicz, fu condotta in tempi, luoghi e con metodi diversi.
Per comodità, chiameremo l’apparato costruito per raggiungere il primo obiettivo: “sistema concentrazionario”; mentre chiameremo il secondo: “sistema della soluzione finale”.
I due sistemi nacquero a otto anni di distanza l’uno dall’altro e rispondono a due logiche non solo diverse, ma anche contrarie fra loro. Il primo fu concepito nel 1933 per punire i nemici ideologici del Reich e ottenere quella che veniva definita la “rieducazione”; il secondo, a metà del 1941, fu ideato per sterminare gli ebrei, che non si era riusciti a espellere dai terrori del Grande Reich, sterminarli perché biologicamente diversi e, in quanto tali, non integrabili in alcun modo alla popolazione tedesca.
Non appare giustificabile analizzare la deportazione “razziale” come se fosse un aspetto della deportazione globale. Una non è parte dell’altra, si tratta di due “insiemi”, dei quali, come sempre, per meglio cogliere il senso conviene sottolineare le differenze piuttosto che le coincidenze. Ricordo qui brevemente le linee di percorso di ambedue, insistendo di più su quella riguardante gli ebrei, perché è il tema che sto trattando.
Dal 1933 al 1938, il sistema concentrazionario si sviluppò in un insieme repressivo di campi di detenzione dalla disciplina durissima, in cui regnava l’arbitrio sia per i motivi dell’internamento, sia per la sua durata. La repressione trarnite KZ (Konzentrationslager) riguardava inizialmente soltanto gli avversari ideologici da “rieducare” cioè i marxisti e i socialdemocratici attivi, gli antinazisti in generale e poi, in quanto refrattari al servizio militare, anche gli appartenenti alla minoranza cristiana dei Bibelforscher (gli “avventisti del settimo giorno”). Il provvedimento a loro carico era chiamato Scutzhaft (internamento degli avversari politici), che era un intemamento preventivo illimitato.
Più tardi, per aumentare gli effettivi concentrazionari, fu scatenata un’azione di internamenti massicci dei criminali comuni, il provvedimento preventivo a loro carico era chiamato Sicherheitsvewahrung (detenzione di protezione)”…..
t chiaro dunque che, a partire dal 1937, al gruppo iniziale dei detenuti per ragioni politiche, venne aggregata una massa di prigionieri che sconvolse la finalità prima dei KZ cioè la rieducazione politica, in favore di altre ipotesi non ancora precisate ma tra le quali non ultima veniva quella dello sfruttamento della loro forza lavoro …..
Dopo il 1938, si ebbe una svolta decisiva nella natura del sistema concentrazionario: la sua internazionalizzazione. Con le annessioni e la guerra erano iniziati infatti arresti e deportazioni degli antinazisti stranieri: mano a mano che la Germania si espandeva geograficamente, nuove masse di detenuti (politici, prigionieri di guerra sovietici, civili polacchi, ecc.) erano andate ad aggiungersi a quelle tedesche. A partire dal 1939, il sistema concentrazionario era aumentato vertiginosamente e per numero di campi di detenzione e per masse detenute.
Pohl in una sua lettera a Himmler del 30 aprile 1942, rimasta nota come quella che formulava la legge dello “sterminio attraverso il lavoro”, chiarì inequivocabilmente la metamorfosi subita dal sistema concentrazionario….
Grazie a questa legge fu introdotto il sistema di sfruttamento totale delle risorse lavorative della masse concentrazionarie. Migliaia di uomini validi, deportati nei KZ da ogni paese dell’Europa occupata, vennero ridotti in pochi mesi, attraverso massacranti fatiche, inumani maltrattamenti e una costante sottoalimentazione, a larve umane, pronte a essere uccise e sostituite con nuove forze, costituite da deportati che continuamente arrivavano. Il sistema concentrazionario divenne presto un gigantesco affare privato delle SS.
Il passaggio attraverso le tre fasi: repressivo-politica, repressivo-poliziesca, repressivo-economica del sistema è ravvisabile anche a livello del numero degli effettivi concentrazionari….
Dopo il 1939 si assiste a un progressivo aumento degli effettivi concentrazionari che, nel 1943, superarono i 120 mila e, nel gennaio del 1945, i 750 mila.
Gli ebrei, come si è visto, a parte la parentesi della “notte dei cristalli”, non furono mai integrati in quanto tali alle categorie passibili di deportazione e di internamento. Per quanto finora visto, la deportazione politica nelle sue grandi linee non aveva nulla a che vedere con la cosiddetta deportazione razziale. Vedremo più avanti come a partire da un certo momento e per alcuni casi i due fenomeni si intersecarono e si sovrapposero l’uno all’altro.
Anche la persecuzione antiebraica ebbe uno svolgimento in crescendo, che attraverso fasi successive passò dalla politica di espellere gli ebrei dalla Germania al loro sterminio fisico in tutta l’Europa….
Evidentemente nel corso del 1941 erano maturate idee più radicali di “soluzione della questione ebraica”, che infatti, a partire dalla campagna di Russia, si trasformò in sterminio fisico. Avevano concorso all’evoluzione dall’idea dell’espulsione a quella dell’assassinio due elementi: in primo luogo, l’invasione all’est aveva posto nelle mani naziste popolazioni ebraiche di grandissima consistenza numerica, dell’ordine di milioni, di cui era impensabile potersi disfare tramite l’espulsione; in secondo luogo l’aggressione all’Unione Sovietica aveva fatto intravedere ai governanti nazisti nuove possibilità e metodi per sgominare il nemico in una guerra in cui ogni freno morale era allentato e nella quale i combattenti erano stati appositamente addestrati a compiere nefandezze. Il bolscevismo e l’ebraismo dovevano essere distrutti in una guerra che era soprattutto ideologica e, in quanto tale, senza quartiere.
Dopo lunghi negoziati, iniziatisi nell’aprile del 1941, tra esercito e polizia di sicurezza, per le rispettive competenze nella guerra contro l’Unione Sovietica, fu deciso che la repressione della popolazione civile, e segnatamente degli ebrei, sarebbe stata affidata a quest’ultima. Furono usati dunque, in seno alla Sipo-Sd, 4 battaglioni speciali di intervento (Einsatzgruppen) che, procedendo dietro le truppe combattenti, avevano per missione di sterminare, mediante fucilazione sommaria, tutta la popolazione ebraica rastrellata nel territorio.
La “soluzione finale” non iniziò dunque nei campi di concentramento, ma sull’orlo delle fosse di seppellimento, in Unione Sovietica, dove file di decine di persone venivano fatte cadere dopo la fucilazione da parte delle Einsatzgruppen….
Alla metà del 1941, le autorità naziste stavano orientandosi ormai decisamente verso l’uso del gas tossico che dovette apparire la soluzione più praticabile. Dal dicembre del 1941, si iniziarono ad approntare, in Polonia, strutture fisse per la gassazione, cui erano destinati 0 ebrei, masse enormi di diseredati, rinchiusi dapprima nei ghetti, serbatoio ideale per gli eccidi.
Il primo campo allestito a questo scopo fu Chelmno, vicino a Lodz (dicembre 1941), che aveva ancora camere a gas mobili; nel giro di pochi mesi seguì la costruzione di veri e propri campi stabili, con edifici e strutture fisse per la gassazione….
Tali luoghi vengono solitamente definiti “campi della morte”, per distinguerli dai Kz con i quali non hanno niente a che vedere. Essi erano infatti destinati agli ebrei e strutturati soltanto per dare la morte, che era in effetti la loro unica attività. I deportati passavano direttamente dal treno di deportazione alle camere a gas. I campi della morte furono cinque, tutti posti in Polonia; oltre a Chelinno: Belzec, Sobibor, Majdanek, Treblinka. Si calcola che essi fecero più di un milione e mezzo di vittime.
Verso la fine del 1943 i campi della morte furono completamente smantellati…
Con i campi della morte il sistema della “soluzione finale” si evolveva ancora parallelamente a quello concentrazionario destinato ai deportati politici senza mai incontrarlo.
Mentre erano appena iniziati i massacri delle Einsatzgruppen in Urss, fu attivato un altro canale per l’uccisione degli ebrei, il più letale e perfezionato di tutti, il campo della morte di Birkenau, posto nel circondario del Kz di Auschwitz.
Himinler convocò a Berlino, nell’estate del 1941, il comandante del campo Rudolf Höss e gli confidò che Hitler aveva decretato la “soluzione finale della questione ebraica” e che aveva scelto Auschwitz per realizzarla perché posto in una situazione favorevole dal punto di vista delle comunicazioni e perché la zona era facilmente isolabile e camuffabile…
Höss fece iniziare, il 28 settembre 1941, la costruzione della filiale del Kz di Auschwitz, a circa tre chilometri di distanza dal campo madre, designandolo con il nome di Auschwitz- Birkenau. Il campo cominciò a riempirsi nel marzo del 1942…
Dopo la primavera del 1942 la macchina cominciò a funzionare a pieno ritmo e alla fine del 1943, cessati gli eccidi in Unione Sovietica, smantellati gli altri campi che erano serviti a decimare l’ebraismo polacco, Auschwitz-Birkenau divenne il solo luogo deputato a dare la morte agli ebrei d’Europa.
Da allora deportazione “razziale” significò dunque deportazione ad Auschwitz e la deportazione ad Auschwitz costituì l’unico mezzo per attuare la “soluzione finale”.
Ma il campo di Auschwitz è anche quello dove finalmente il sistema concentrazionario e il sistema della “soluzione finale” si intersecano. I due mondi, dopo l’estate del 1943, si incontrarono a Auschwitz, perché fu allora e là che si decise, in nome degli imperativi economici dettati dal conflitto, di risparmiare dalla morte immediata circa il venticinque-trenta per cento degli ebrei giunti sui treni della morte (i ‘Transportjuden”) e di immetterli nel grande Kz di Auschwitz (di cui, ripetiamo, Birkernau era soltanto una parte).
La peculiarità a Auschwitz sta proprio nella sua duplice natura di Kz, in alcune parti, e di campo della morte in altre. Esso riuniva in sé i due imperativi del regime hitleriano: eliminare gli ebrei dalla faccia della terra e sfruttare fino alla distruzione fisica i suoi avversari ideologici. Auschwitz è la cerniera che lega il sistema concentrazionario con il sistema della “soluzione finale”. La selezione degli ebrei da lasciare in vita avveniva alla discesa stessa dal treno dove medici SS del Campo, con uno sguardo, operavano la scelta in base a un esame superficiale dell’apparenza fisica di ognuno.
La pratica della selezione e l’integrazione di ebrei al sistema produttivo generale del campo contravveniva a ogni principio “sterminazionista”, usato fino ad allora in Urss con i massacri delle Einsatzgruppen, come in Polonia con i campi della morte. Questo salto da un insieme logico ad un altro fu applicato, all’intemo del Kz di Auschwitz, per precisi motivi di esigenza di manodopera per l’economia di guerra del Reich, non rispondendo affatto a un mutamento ideologico nei confronti degli ebrei: era un semplice provvedimento dettato da esigenze temporanee, tant’è vero che in ogni caso bambini sotto i dodici anni, anziani, madri con bambini continuavano ad esservi uccisi appena arrivati (selezione iniziale)….
La sopravvivenza di manodopera ebraica divenne del resto oggetto di continui contrasti tra le due amministrazioni SS, quella più strettamente poliziesca la Rsha di Ernst Kaltenbrunner e quella economica la Wvha di Oswald Pohl; la prima aveva interesse a uccidere quanti più ebrei possibile secondo i principi stabiliti il 20 gennaio 1942 durante la conferenza svoltasi a Gross Wansee tra i capi delle maggiori amministrazioni naziste. La seconda, invece, gliene contendeva un numero sempre crescente, da impiegare nelle proprie imprese: si stabilì in pratica una concorrenza tra produttività e sterminio. In alcuni periodi, a causa delle pressanti richieste della Wvha, la percentuale dei selezionati per il gas scendeva sotto la solita media del settantacinque per cento degli arrivati…
Veniamo ora al caso degli ebrei deportati dall’Italia o da territorio italiano cosiddetto extrametropolitano. Va innanzitutto rilevato che essi entrarono nel sistema della “soluzione finale”, quando le prime due fasi, quella dei massacri in Urss e quella dei campi della morte, erano ormai esaurite. La loro destinazione principale fu perciò Auschwitz-Birkenau, come per il resto degli ebrei dell’Europa occidentale…
Il primo convoglio di italiani giunse da Roma il 23 ottobre 1943. Portava 1.030 persone: dopo la selezione furono gasati in 834, furono immatricolati in 196. La percentuale rientrava perfettamente nella media generale del campo. I dati ad ogni convoglio, il numero dei gasati e degli immatricolati, ecc., saranno pubblicati prossimamente nel mio saggio: La deportazione degli ebrei dall’Italia. Indagine statistica, cui rimando.
Rimane da aggiungere che il lavoro di ricerca globale sulla deportazione degli ebrei dall’Italia si presenta molto complesso, perché soltanto poche delle liste di trasporto (Transportlísten) dal luogo di raccolta italiano al lager, stilate a cura della Gestapo, sono arrivate fino a noi. Sappiamo peraltro che esse furono composte in parecchie copie, tanto più se possiamo estendere all’Italia il caso francese, dove secondo quanto dice lo stesso responsabile dell’ufficio antiebraico a Parigi, Theo Dannecher, gli elenchi erano compilati in quattro copie, una delle quali doveva rimanere negli archivi della Gestapo dei paese di partenza…
In mancanza della maggioranza di queste liste – e il caso francese di ritrovamento dell’intero archivio della Gestapo di avenue Foch a Parigi è del tutto straordinario -, la ricerca italiana è partita giocoforza da un piano di microstoria. Si è trattato inizialmente di raccogliere migliaia di storie individuali, che sono rimaste parallele fino a che non le si è sistematizzate in un insieme coerente di coordinate spazio temporali e confrontate con le fonti ufficiali che si sono contemporaneamente ricercate in tutta Europa.
Tra il copiosissimo materiale raccolto, è da citare, come particolarmente importante, la lista dei trasporti che l’ex deportato addetto all’infermeria del campo quarantena di Birkenau, l’austriaco dottor Otto Wolken riuscì a registrare e a salvare dalla distruzione. In tale lista, che va proprio dal 24 ottobre 1943 al 3 novembre 1944, compaiono anche convogli provenienti dall’Italia, con le prime sommarie statistiche sul numero degli immatricolati e dei gasati. Benché l’elenco si riferisca solo agli uomini e non alle donne, che trascorrevano la quarantena in un altro blocco, e risenta dell’incompletezza tipica di un documento semiclandestino, esso è senz’altro per noi fondamentale, così come lo è il registro dei movimenti degli ammalati nell’ospedale del campo di Auschwitz III (Monowitz), dal luglio 1943 al luglio 1944, fortunosaniente ritrovato nel 1947, nel contesto delle ricerche per il processo contro Rudolph Höss celebrato a Cracovia.
Il bilancio della deportazione ebraica italiana, provvisono perché la ricerca è ancora in corso, è di 8.613 vittime.