Mauthausen, Dachau, Buchenwald

Bruno Vasari, vicepresidente dell’Aned, ha raccolto in un volume il testo dei suo intervento al convegno di Cesena su “Lotta armata e Resistenza delle Forze armate italiane all’estero” dell’ottobre ’87. Il volume “La resistenza dei deportati politici italiani nei Lager nazisti”, 66 pagine, 20.000 lire, è edito dalle Edizioni Dell’orso. Riproduciamo qui di seguito il testo di una lettera del presidente dell’Anpi Arrigo Boldrini, pubblicata a mo’di prefazione.
Caro Vasari, ritengo molto opportuna e tempestiva la sua decisione di ristampare in un libro a parte la relazione da lei tenuta a Cesena sulla resistenza dei deportati politici italiani nei campi di annientamento nazisti, nel quadro del convegno internazionale “Lotta armata e Resistenza delle forze annate italiane all’estero” (27 settembre – 3 ottobre 1987), estraendolo dagli atti di detto convegno. Ero presente a Cesena dove ho avuto occasione di esprimerle il mio apprezzamento che le rinnovo per il contenimento e lo spirito che anima la sua relazione. Il tema della resistenza nei Lager e, in particolare, quella italiana, è pochissimo conosciuto e deve essere divulgato soprattutto tra gli insegnanti e gli studenti per una presenza viva della memoria storica. Nei tre Lager da lei considerati (Mauthausen, Dachau. Buchenwald), ove la sopravvivenza media era di pochi mesi, desta giustificata reazione e meraviglia la fioritura di una resistenza interna in condizioni estreme di vita e di morte, con un debole e talvolta forte contropotere alle SS. Lei spiega come i movimenti di resistenza potessero coagularsi prevalentemente tra i deportati con maggiore anzianità di prigionia, più o meno miracolosamente sopravvissuti. I tedeschi oppositori al regime erano nei Lager dal 1933. Non sempre si valuta la loro posizione nel suo complesso, se si prescinde dalla rivolta studentesca del 1943 o dal famoso attentato contro Hitler del 20 luglio 1943. Nel corso degli anni del nazifascismo ci fu un grandissimo numero di arresti, di detenzioni nei campi di concentramento, con sentenze capitali, con una indicibile ferocia per le torture, come sottolinea Leo Valiani che estirpò le radici degli avversari organizzati come documenta Hans Rothels (L’opposizione tedesca al nazismo, Cappelli, Bologna, 1963, p. 10). Con lo scoppio della seconda guerra mondiale la popolazione dei Lager si accrebbe enormemente via via che dai paesi occupati affluivano i nuovi arrestati, provocando un affollamento micidiale. Per favorire il trasferimento a queste industrie di sterminio vennero edificati in tutta l’Europa occupata campi di raccolta da dove con i convogli blindati partivano migliaia e migliaia di persone con destinazione i campi più attrezzati per il lavoro o per lo sterminio. Basti ricordare il campo di Drancy in Francia, il campo olandese di Westerborg, la caserma Dossieu di Malines in Belgio, il campo di Berg in Norvegia, il ghetto di Belgrado e altri ancora in Serbia, Bulgaria, Grecia e Romania e, naturalmente, bisogna sottolineare il ruolo dei campi italiani di Fossoli, Trieste e Bolzano. Subito dopo l’armistizio dei nostro paese la presa di possesso dei campi avvenne in gran parte con l’intervento delle SS. I primi italiani, salvo quelli catturati in Francia, giunsero sul finire dei 1943. I deportati furono circa 45.000 ed i morti o dispersi 30.000, fra cui migliaia di donne. Un capitolo a sé di grande interesse storico è quello che riguarda la deportazione degli ebrei per il feroce antisemitismo nazista e quello dei militari internati nei campi di concentramento dopo l’8 settembre 1943. Bisogna davvero sottolineare che, superando gli ostacoli di chi sorvegliava i campi di annientamento con il pericolo costituito dai triangoli verdi o dai Kapò, numerosi e straordinari furono gli atti di solidarietà. Lei sottolinea che la stessa solidarietà fra diversi combattenti di Spagna catturati dai tedeschi in Francia e tanti altri favorì la nascita del movimento di resistenza nei lager. Fu svolta anche una preziosa opera di documentazione delle atrocità che vi ebbero luogo. Si formarono i Comitati Internazionali clandestini che vigilarono ed agirono nei limiti delle loro possibilità per impedire lo sterminio dei prigionieri nei giorni convulsi che precedettero la liberazione, assumendo il governo dei campi fino alla totale evacuazione. Molte volte nei posti chiave della burocrazia dei campi riuscirono ad installarsi soprattutto i comunisti attivi nella resistenza interna più organizzati e più internazionalisti. Essi riuscirono a salvare, attraverso scelte dolorose ma inevitabili, i perseguitati anche non comunisti, come lei attesta, ritenuti in molti casi più capaci di contribuire alla ricostruzione dei rispettivi paesi una volta avvenuta la liberazione. Sulla inevitabilità di quelle scelte vi è stata la preziosa testimonianza di Giuliano Pajetta in un memorabile incontro a Torino nell’affollato teatro Alfieri. I deportati.italiani erano in massima parte resistenti che avevano dato un contributo alla lotta di liberazione. I componenti italiani del Comitato Internazionale dei lager in condizioni ancora più difficili continuarono a combattere i nazisti in nome della solidarietà internazionale. A questi esempi non si può che aggiungere la cifra complessiva dei deportati, non dimenticando che furono dei condannati a morte e, leggendo le loro biografie, possiamo ripetere che hanno affrontato ogni persecuzione con un grande filo conduttore di sacrifici lasciandoun patrimonio comune civile e morale che deve diventare parte irrinunciabile della coscienza storica nazionale ed internazionaie. Per questo motivo il cinquantenario della liberazione dei Lager, della liberazione del nostro paese non è una mera celebrazione, ma la piattaforma di lotta per preservare e consolidare i nostri valori, per sconfiggere i revisionismi che cercano di rivedere la storia e alle volte di avvelenare i ricordi più preziosi e corrodere le basi della nostra convivenza, per lottare contro qualsiasi forma di qualunquismo sempre rinascente nel nostro paese. Per questi motivi mi auguro che la sua relazione indirizzi gli studiosi, come lei stesso auspica, verso approfondite ricerche e sia intanto fonte di riflessione per i giovani sulle esperienze così tragicamente vissute dalla nostra generazione. Lei fa alcuni nomi degni della più profonda ammirazione ed io mi auguro che siano memorizzati dai lettori e portati ad esempio di altruismo, di solidarietà, di vite impegnate messe volontariamente a rischio (e quale rischio!) per la luce della ragione contro le tenebre dell’irrazionalismo.

Arrigo Boldrini