Il discorso del sindaco di Muggiò

Nel maggio scorso una delegazione di studenti di Muggiò (Milano) ha visitato i campi di Mauthausen e di Dachau. In un incontro sulla collina di Leinderberg, nei pressi di Dachau, il sindaco Stefano Rijoff ha rivolto ai ragazzi le parole che qui riportiamo 
Voglio fare qualche riflessione con voi. Di fronte alle emozioni di questi giorni ci sono due modi per reagire, il silenzio, ma certo non il silenzio complice od acquiescente, no, il silenzio duro, come quello che abbiamo recitato insieme in versi “lo avrai camerata Kesserling” il silenzio dei torturati, il silenzio del coraggio, ma anche quello della meditazione, dell’introspezione, oppure il gridare la propria rabbia, il proprio sconforto, il nostro anelito di libertà. Per carattere personale sarei più propenso a reagire a tutte queste emozioni con il silenzio, conscio che difficilmente le parole possano esprimere a pieno sentimenti personali e collettivi di fronte a cose che sono a volte troppo grandi per noi, ma come rappresentante della mia comunità non posso tacere, devo affermare a voce alta i sentimenti provati, non solo la rabbia di un passato che ha visto la dignità dall’uomo umiliata, lo sgomento di fronte alle atrocità che ancora si possono sentire trasudare da questi luoghi dello sterminio, ma anche l’impegno che questa follia non abbia più a ripetersi, il giuramento fatto davanti ai nostri morti che il loro sacrificio non è stato vano, che la storia ha saputo distinguere tra carnefici e vittime, tra chi ha offeso l’appartenenza al genere umano e tra chi, con il proprio martirio, ha saputo dare la forza a sé ed alle generazioni future di cosa voglia dire essere uomini. Io penso che le parole abbiano un significato, devono avere un significato. In questi giorni abbiamo sentito una serie di parole ricorrenti: sacrificio, pellegrinaggio, atrocità, vergogna, aguzzini, libertà. Dobbiamo riflettere su queste parole. Voglio ricordare con voi il discorso fatto dal ministro dell’Istruzione dell’Austria, quel “vergogna” ripetuto in modo così forte. E’ significativo che questo nostro pellegrinaggio, con tutto il senso che vogliamo dare a questa parola pellegrinaggio, termini a Dachau, dove è iniziata la triste storia dei campi di concentramento. Certo nel 1933 non si parlava di sterminio, ma di rieducazione. Veniva comunque attuato un regime di prevaricazione, di intolleranza, di soppressione della libertà e questo ci deve essere di lezione. Ogni volta che si vogliono annullare questi valori, attraverso la sopraffazione e la violenza, dietro si nasconde lo spettro lugubre della pazzia del lager. Dobbiamo essere consapevoli noi, e soprattutto i nostri ragazzi che sono qui con noi, che devono capire l’importanza del valore della libertà, ma anche della tolleranza, specie in un mondo sempre più complesso in cui il rapporto con il più debole od il diverso deve essere costruito non sull’indifferenza, ma sull’attenzione e la disponibilità. Ma su questo sono fiducioso. Papà Cervi diceva: “Dopo ogni inverno viene sempre un raccolto”. Non è sempre così se i semi sono sparsi su un terreno arido; ma in questi giorni abbiamo visto che i nostri ragazzi rappresentano veramente un raccolto, un raccolto ricco, su cui possiamo contare, perché si battano affinché si riesca non solo a combattere il risorgente fascismo di casa nostra (vestito da skin-haed o da naziskin con il corredo di violenza o di simbolismi da paccottiglia del regime), ma anche perché il pericolo che il lager possa risorgere vicino a noi (in Bosnia o in qualsiasi posto del mondo), come annullamento dell’uomo, con tutte le cose che esso si porta dietro, con la prima che è il tentativo di negarne l’esistenza, non debba più succedere. Permettetemi prima di concludere di fare un’ultima breve riflessione. Abbiamo assistito assieme ad una grande manifestazione a Mauthausen, una manifestazione in cui si univano e si mischiavano tutte le lingue d’Europa, e non solo d’Europa. Ho avuto quasi in certi momenti la sensazione che il 9 maggio il cuore del mondo battesse a Mauthausen. Bene, ai ragazzi che sono stati con noi voglio dire: molti di noi, sostenuti da un’ideologia particolare o da una fede, hanno creduto che ci fossero possibilità di unire in qualche modo il mondo, ma questo proprio perché era una visione di parte non era comunque realizzabile. Oggi c’è il pericolo che la visione internazionalistica del mondo rischi di unificarsi sotto parole come Coca Cola, Tymberland, Lacoste, Madonna ecc.; ecco ragazzi il mondo corre e certamente è giusto che sia così, ma nel vostro linguaggio, che vi unisce ai giovani di tutto il mondo, fate che entrino di continuo le parole pace, libertà e solidarietà.

Stefano Rijoff