L’avvenire dei Memorial

Bolzano, la Risiera, Fossoli: come sono tutelati?
 
 

Dopo la caduta del muro di Berlino la gestione del memorial nei tre grandi KZ che si trovavano nell’ex DDR (Buchenwald, Sachsenhausen, Ravensbrück) è, naturalmente, passata dai funzionari del Partito Comunista nelle mani di dirigenti designati dalle nuove amministrazioni democratiche del paese.
Alcuni nostri compagni, allarmati da notizie contraddittorie e paventando addirittura la chiusura dei memorial, con la dispersione degli archivi storici e la conseguente cessazione di ogni attività commemorativa, hanno provocato accese discussioni anche in seno all’ANED.
Il Governo federale, investito del problema, ha affidato ad una commissione di storici la definizione dei compiti dei tre memorial alla luce della corretta interpretazione della loro variegata storia. Adesso la situazione è stabilizzata avendo i tre memorial ottenuto il pieno riconoscimento della loro funzione testimoniale antinazista ed ogni garanzia per la continuità della loro missione storica, politica ed educativa.
Dal rapporto annuale 1993 che ho sottomano rilevo che Buchenwald in quell’anno è stato visitato da 152.767 persone che vi si sono recate di propria autonoma volontà e non più per ordine ricevuto. Analogamente Sachsenhausen ha registrato 180.698 visitatori, Ravensbrück 40.000. Aggiungerci che ben 900.000 persone sono andate nello stesso anno a Dachau. Dunque: allarme rientrato.
Ognuno di noi ha certamente il diritto, diciamo pure anche sa dovere di preoccuparsi della sorte dei luoghi di testimonianza e riflessione dove ha trascorso momenti cruciali della propria vita. In questa ottica credo che ìl nostro impegno primario sia quello di far attenzione alla situazione in casa nostra.

Bolzano/Bozen Gries
Vogliamo allora parlare di Bolzano? Si sa che quando, nel settembre 1943, Hitler s’impossessò di otto province italiane, istituendo a Bolzano l’Alpenvorland, il Gauleiter Hofer utilizzò il deposito del Reggimento Pontieri, dissoltosi con l’8 settembre, per istituirvi il KZ Bozen Gries, che funzionò fino all’Aprile 1945 e servì in seguito per sistemarvi degli sfollati.
A poco a poco, in mancanza di qualsiasi manutenzione, il degrado produsse i suoi effetti.
Alcune settimane fa ho visto con i miei occhi i bulldozer abbattere i muri pericolanti degli ultimi ruderi dell’ex Lager nazista. La zona è nuovamente territorio militare. A 300 metri da quello che è stato il KZ Bozen Gries. sul sagrato della chiesa di via Resia esiste un monumento che rappresenta due figure umane “a ricordo degli uomini e delle donne caduti per la libertà”. Un po’ poco come attinenza alla storia che ci interessa.
Io credo che, oggi come oggi, tutto quello che si può e si deve fare, è erigere una stele da porre davanti al reticolato che delimita oggi e delimitava anche allora, il perimetro del campo, con una stringata esplicazione del suo significato. Ma, per favore, non lasciamo passare altri cinquanta anni prima di farlo!

Trieste/Risiera di S. Sabba
La sua origine risale allo stesso maledetto settembre 1943 quando l’amministrazione nazista dell’Adriatisches Küstenland utilizzò gli edifici in disuso dell’antica pilatura di riso per istituirvi un Polizeilager trasformato poi in Konzentrationslager. Una struttura atipica, dove non veniva praticata la morte attraverso il lavoro, ma solo la morte “tout court” e il trasferimento d’un numero imprecisato di persone verso i campi tradizionali. Per merito di Piero Caleffi il ricupero degli edifici effettuato con singolare sensibilità e competenza dall’architetto Romano Boico, rese possibile la loro protezione come monumento nazionale.
Purtroppo la complessa situazione politica di Trieste, l’abulia delle sue amministrazioni e i tentativi di stravolgerne significati e valori ha reso difficile la vita di questo memorial. Anche l’ANED – che pur può vantarsi di aver promosso uno dei pochi processi in Italia contro i criminali nazisti che ivi hanno operato – non ha fatto, forse non ha potuto fare gran che per un’adeguata valorizzazione di questo che rischia di diventare un reperto archeologico. Forse, con tanta buona volontà e un po’ di fantasia si potrebbe far uscire la Risiera dallo stallo mortificante nel quale si trova.

Carpi/Campo di Fossoli
Ahi, altre dolenti note! Della sua storia, delle sue funzioni sappiamo tutto. Non sappiamo se, quando e come e chi riuscirà a modificare lo stato brado nel quale si trova.
Anni fa sono stato chiamato per un sopralluogo al campo per il quale anch’io sono passato. Con Saba e Belgioioso abbiamo consigliato una sistemazione minima: taglio dell’erba, ghiaia sui viali, ricupero di una o due baracche e ripristino allo stato originale, ripristino della recinzione ed eventuale ricostruzione di una delle torrette di guardia, sistemazione emblematica di un vagone merci, magari arrugginito e mangiato dall’edera.
Tutto questo poteva esser fatto con una spesa ragionevole. Poteva, ma non è stato fatto. E’ stato invece indetto uno di quei mega-concorsi internazionali che permettono ai promotori di dar da intendere che si occupano del problema. Il concorso, che ebbe un inatteso successo, espresse ben tre vincitori ex aequo e uno splendido catalogo. Il tutto è costato una barca di milioni, ma l’auspicata sistemazione di Fossoli è ancora di là da venire. Temo che, stante la situazione finanziaria attuale, i fondi necessari non si troveranno mai. Ma anche se così fosse – come vivamente mi auguro – mi domando chi e come potrà – gestire la complessa struttura che il bando molto ottimisticamente prevedeva? Poi, accanto a Fossoli, c’è il Museo Nazionale della Deportazione di Carpi. E certamente uno dei più bei memorial che io conosca. Ma langue di vita stentata. Fino a poco fa non aveva neppure un direttore, né adeguato personale di custodia. Per farlo meglio conoscere, dietro mie personali insistenze, è stato realizzato un dépliant promozionale. Ma in città e nei suoi accessi ferroviari ed autostradali manca qualsiasi segnaletica. Nel Museo manca un guardaroba, un locale dove, dopo la visita, le scolaresche (che dovrebbero costituire il nucleo primario dei visitatori) possano soffermarsi per fare le proprie considerazioni, per osservare una videocassetta, per sfogliare libri e fotografie. Manca uno spazio espositivo per mostre temporanee, manca perfino il gabinetto. Anni fa abbiamo elaborato un progetto per costituire, a fianco del Museo nel cosiddetto Torrione, un Centro di documentazione per il quale l’UNESCO ha promesso il suo appoggio e perfino anticipato un modesto contributo, tuttora bloccato in un conto corrente speciale presso l’ANED di Milano. Ma anche di questo non s’è più saputo nulla. Adesso la costituenda Fondazione dovrebbe affrontare questi problemi o quantomeno farsene carico. Vorrei proprio sperare che sia la volta buona.
Consentitemi di dire che il raffronto fra la situazione italiana e quella negli altri paesi non è certo in nostro favore. E di questo siamo tutti responsabili.
Amici e compagni che mi leggete: l’età media dei superstiti si aggira oramai sui settantacinque, se non ci diamo da fare per sistemare le quattro pietre alle quali affidare la memoria storica della vicenda concentrazionaria (dato che la seconda generazione cui affidarla è latitante e la terza non è ancora matura) questa rischia davvero di svanire nel nulla. E così non sia.

Teo Ducci