Un opuscolo di Bertrand Perz
Ricordiamo, i 311 italiani che perirono nel campo di Melk
L’Aned in collaborazione con l’assessorato alla Cultura della Provincia di Torino ha pubblicato la traduzione italiana di un libretto che costituisce la guida all’esposizione permanente nel memoriale dell’ex campo di Melk, per ricordare i 311 prigionieri italiani che persero la vita in quel campo e per rendere omaggio a coloro che riuscirono a sopravvivere. L’opuscolo, 76 pagine, è fuori commercio. Gli interessati possono richiederlo all’Aned. Dall’agosto ’44 furono oltre15.000 i prigionieri che dovettero costruire nei dintorni di Melk una fabbrica sotterranea di armamenti per il gruppo Steyr-Daimler-Puch. L’impianto sotterraneo garantiva la possibilità di proseguire la produzione al riparo dalle incursioni aeree. Il Lager di Melk non era considerato un campo di sterminio; eppure in appena un anno vi morirono più di 5.000 uomini stremati dalla denutrizione, dal trattamento bestiale dei carcerieri e dalle atroci condizioni di vita e di lavoro.
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Polonia 1942, due ebrei registrano il martirio del loro popolo
Attorno al 1942, in diverse città della Polonia occupata, due ebrei ogni giorno scrivono e scrivono: uno tiene un diario, registrando l’agonia del ghetto di Varsavia, l’altro descrive in forma di romanzo le vicende della comunità ebraica della città di Plock. Due testi assai diversi tra loro; due manoscrittí nascosti alla disperata dagli autori, decisi a fare il possibile per lasciare dietro dì sé una memoria del martirio della propria gente.
Abraham Lewin era in contatto con Emanuel Ringelblum, creatore dell’archivio clandestino dei ghetto di Varsavia. Ringelblum aveva convinto giornalisti, autori, insegnanti, intellettuali e anche ragazzi a scrivere, a documentare il proprio dramma con l’esplicito obiettivo di lasciare una traccia, una documentazione ai posteri. Decine di testi furono nascosti nei luoghi più impensabili. Molti andarono perdutì nella distruzione fisica del ghetto. Qualcuno, miracolosamente, si salvò. Come il diario che Abraham Lewin scrisse prima in yiddish e poi, dal luglio ’42 in avanti, in ebraico, apparendogli questa lingua più adatta ad esprimere l’inesprimibile, a descrivere l’immane tragedia che lo attorniava e dalla quale infine anch’egli sarebbe stato travolto. Il diario di Lewin si interrompe bruscamente il 15 gennaio ’43. Anche Lewin come tutti i suoi familiari sarà preso, deportato e inghiottito dalla macchina di sterminio nazista.
Anche Simha Guterman passerà per l’inferno di Varsavia, e perirà nei giorni della sollevazione del ghetto, nell’agosto ’44. Prima di raggiungere la capitale polacca aveva però trovato il modo di terminare il suo romanzo “In presa diretta”. Scritto in yiddish su lunge striscioline di carta nascoste in una bottiglia sigillata con la ceralacca e murate in una parete della sua casa, il suo libro sarà scoperto per caso circa 30 anni dopo la morte dell’autore. Palleggiato da una parte all’altra del globo è stato infine trascritto e tradotto.
I due libri, diversissimi tra loro, sono usciti in Italia a poca distanza di tempo uno dall’altro. Il diario di Abraham Lewin, “Una coppa di lacrime”, 352 pagine, lire 30.000, è edito dal Saggiatore, e si segnala per la straordinaria cura dell’edizione, arricchita da ben 436 note esplicative. Il romanzo di Simha Guterman, ” Il libro ritrovato” 274 pagine, lire 28.000, è edito da Einaudi ed è un grande successo editoriale. Di seguito riportiamo le prime pagine di entrambi, esemplificative del diverso stile e dei diverso taglio dei due libri, la cui storia è per tanti versi cosi simile.
Dal diario di Abraham Lewin
Dal romanzo di Simha Guterman
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