Quelle radici non sono ancora state estirpate

“Questi momenti non verranno mai dimenticati nella storia; Non solo perchè sono stati i peggiori momenti dell’orrore della storia dell’umanità, nè solo per il numero di morti, ma perchè le radici di quella concezione del mondo non sono state ancora estirpate nè dal cuore dell’umanità nè dalla storia degli stati .”

Valentina Galletta, III B
 

 

Parma

Per 41 ragazzi un giorno unico e irripetibile

7 maggio ’95. Siamo ormai prossimi a Mauthausen. Paesi lindi, belle case, giardini curati. Campi e boschi sapientemente trasformati da assiduo lavoro. Improvvisamente, dopo l’ultima curva, una lunga coda di automobili e di pullman. In lontananza una composita moltitudine e tanti colori. Bisogna proseguire a piedi. I nostri quarantuno studenti, rappresentanti di undici scuole superiori di Parma, si fanno silenziosi. La cupa fortezza che già si scorge cattura l’attenzione e dà un po’ d’inquietudine. Siamo ora davanti all’entrata del campo. Già si sentono parole nelle più varie lingue e si osservano le più svariate fisionomie. Ci sono molti anziani, un po’ angosciati, ansiosi; portano al collo un fazzoletto che ricorda, con le sue strisce, il tempo della deportazione. Altri indossano il copricapo militare. Ma tanti sono anche i giovani e gente comune giunta qui oggi da ogni parte d’Europa a celebrare il cinquantesimo anniversario della liberazione del campo. Entriamo per deporre subito una corona di fiori e il simbolo di Parma sotto la lapide che ricorda i nostri cittadini assassinati a Mauthausen. La visita del campo è ormai difficoltosa per la gran quantità di persone che giungono via via sempre più numerose. Riusciamo a penetrare nelle stanze del Crematorio, posto di fronte al cortile delle punizioni e dei supplizi. Vicino vi sono altri locali dove migliaia di persone furono vittime di inespiabili nefandezze; impiccagione lenta, torture, esperimenti vari… Fuori la grande piazza dell’appello è ormai colma di gente. Le baracche ai lati, riverniciate, ricordano pallidamente le condizioni di bestiale affollamento dei deportati. Ha inizio la cerimonia ufficiale. Entrano e sfilano lentamente, cón i colori delle proprie bandiere, le delegazioni dei Paesi che hanno contato i loro morti a Mauthausen.

Poco prima, davanti ai rispettivi monumenti funebri e commemorativi, innalzati lungo la cinta esterna delle mura della fortezza, ciascuna delegazione, a proprio modo, aveva cantato e ricordato i torturati e gli offesi: solenne e a un tempo colmo di dolore il canto religioso degli ebrei, tra i vessilli d’Israele, davanti a un gigantesco e nero candelabro proteso nel cielo azzurro; maestoso quello dei russi, davanti ai poderosi monoliti di pietra scolpita in onore dei tanti soldati sovietici uccisi qui. Virile ed appassionato quello degli spagnoli e dei catalani che ricordano lo scempio che qui si fece dei combattenti repubblicani spagnoli catturati in Francia nel 1940. Più sotto, in fila indiana, i visitatori salgono dalla scarpata ripercorrendo la sinistra scala della morte, calvario di indicibile sofferenza per i con dannati di Mauthausen. Ora nel campo sfilano le delegazioni tra due ali di folla. E il campo non riesce a contenere tutti. Passeranno al suono di una musica straziante con i passati soldati americani insieme ai veterani e poi quelli russi, francesi, olandesi, norvegesi, danesi, lussemburghesi, cecoslovacchi, e – miracolo di pace – le delegazioni di Serbia, Croazia e Slovenia, e infinite altre, tra le quali spiccano i gonfaloni dei Comuni italiani.
La gente è commossa, sì stringono mani e ci si abbraccia: tanti ex deportati, uomini e donne, si riconoscono, si chiamano e manca la voce per l’emozione. E un giorno unico e irripetibile per la grande forza evocativa: i valori della pace, della cultura e della civiltà contro le miserie della auerra, della discriminazione razziale, dello sfruttamento e della barbarie. Chiudono la sfilata centinaia di giovani austriaci che cantano l’Internazionale innalzando rosse bandiere. 1 nostri studenti, qui giunti per aver vinto il concorso bandito dal Comitato scuola e resistenza, non dimenticheranno. Non potranno dimenticare l’universalità dei grandi valori della pace e della solidarietà. Sapranno schierarsi con più decisione contro la violenza e con più convinzione prenderanno posizione in difesa dei più deboli. Si impegneranno con maggior consapevolezza dalla parte dei valori dell’uomo nelle scelte che la dialettica dell’esistenza porrà loro. Erano presenti studenti delle seguenti scuole di Parma: Ulivi, Romagnosi, Maria Luigia, Marconi, Melloni, Bodoni, I.t.i.s. Da Vinci, Rondani, Sanvitale, I.p.s.i.a. Levi., Toschi.

Vittorio Gatti Preside I.t.c. “Melloni” Parma
 

 

Si può perdonare chi ha agito così? Secondo me no

“Oltre a tutto c’è il rischio che dimenticando quello che è stato fatto, in futuro le cose si possano anche ripetere. Ma ci si pone anche un’altra domanda: è giusto perdonare? personalmente penso di no. Persone che hanno ucciso migliaia di loro simili non si meritano il perdono”

Andrea Binda, III G
 

 

Firenze

Ho imparato a non temere di trasmettere emozioni
Se dunque ogni viaggio significa emozione, a maggior ragione questo è stato vero per il pellegrinaggio ad Auschwitz organizzato dalla Provincia per le scuole fiorentine. I partecipanti, giovani o adulti che fossero, sapevano bene che avrebbero ripercorso le tappe di un cammino di sangue, che il terreno su cui si sarebbero mossi infreddoliti, se pur ben coperti nelle loro soffici giacche a vento, era stato per anni battuto dagli zoccoli degli internati, gelati dal vento, stremati dalla fame e dal lavoro. E di emozioni, il viaggio ce ne ha offerte a piene mani: nel vedere i luoghi, certo, (il ghetto, o meglio, la zona dov’era il ghetto di Varsavia, il quartiere ebraico di Cracovia, il Lager infine) ma soprattutto l’incontro con due sopravvissuti a questa terribile esperienza che ci hanno fatto da guide. L’uno, Luigi, un Istriano internato a diciott’anni solo perché ebreo, e rimasto in Lager fino alla liberazione, il 26 gennaio del ’45, e l’altro, Giorgio, un Polacco che a diciotto anni già aveva scelto di far parte della Resistenza e che, per questo catturato, rimase miracolosamente vivo ad Auschwitz per ben quattro anni. Ascoltare il loro racconto, sentirli rievocare esperienze che verrebbe spontaneo rimuovere, vederli a tavola con le lacrime agli occhi, o udirli cantare insieme, un verso per uno, il canto del campo, ha comunicato a tutti una commozione profonda e un forte senso di comunione: proprio questo ha fatto sentire vicini colleghi che fino a poco tempo prima non si conoscevano e ha dato la possibilità agli insegnanti di cogliere i propri studenti nel loro aspetto più privato e più segreto, che raramente emerge in un rapporto, quello scolastico, teso a sviluppare soprattutto l’aspetto razionale. Proprio il forte coinvolgimento, razionale, ma anche – e soprattutto- emotivo, ha permesso ritmi di lavoro intensi, di discussione durante gli spostamenti e nei dopocena, con i sopravvissuti e con i due rappresentanti della comunità israelitica fiorentina che si sono dimostrati molto disponibili. Per quanto riguarda i miei studenti, credo che la risonanza di una simile esperienza sia stata particolarmente profonda perché il viaggio si è venuto ad innestare su un lavoro precedentemente e autonomamente programmato ed articolato. Infatti, spinta in parte dalla ricorrenza del cinquantenario della liberazione dei campi, e consapevole, come hanno dimostrato tra l’altro sondaggi recenti, che i giovani sanno poco di questa tragica pagina della nostra storia recente, per quanto convinta che qualsiasi cosa avessi elaborato sarebbe stata meno di una goccia in un oceano, in sede di programmazione avevo pensato ad un approfondimento di tale argomento. Tale Unità Didattica, alla quale ho lavorato per tutto il corso dell’anno, accanto alla normale attività curricolare, si è articolato in tre fasi distinte: -1) conoscenza del nazismo e dell’antisemitismo, approfondita tramite la lettura di una serie di documenti storici, letterari, filmici e teatrali; -2) incontri con professori universitari, con esponenti della comunità israelitica fiorentina, con ex-internati nei campi; -3) rielaborazione di quanto appreso tramite il computer, strumento su cui i miei studenti si muovono con grande abilità per arrivare alla elaborazione di tre ipertesti, uno dei quali ha, come filone centrale, proprio il viaggio. Questo complesso lavoro ha avuto esiti più che positivi, sia al livello della motivazione (i lavori elaborati prodotti sono di buon livello) e metodologico (la lunga fase del lavoro di gruppo ha permesso di svilupparne le tecniche e di rafforzare i rapporti di collaborazione tra i componenti). A mia volta ho imparato a non sottovalutare, o a non temere, un approccio emotivo agli argomenti di studio, perché ho osservato che le esperienze più proficue sono state proprio il contatto e il dialogo con i testimoni di quella immensa tragedia, i quali spesso hanno indotto i giovani ad approfondimenti autonomi, ma che soprattutto hanno loro impartito con grande semplicità una altissima lezione di tolleranza e di civiltà. Mi sono inoltre rafforzata nel convincimento che bisogna lavorare sul piano educativo se si vuol fare quanto possibile per formare cittadini che tollerino, e anzi valorizzino, il diverso – in una società che si avvia a diventare, ogni giorno di più, multirazziale – e per limitare la diffusione di nuove ondate di razzismo, mettendo qualche piccolo argine al diffondersi di movimenti, come quello dei naziskin, che tanta inquietudine suscitano in noi adulti. Un mio sentito grazie ai soci dell’Aned, che testimoniano con i loro scritti, con le visite nelle scuole, con la disponibilità a farsi guide per i giovani, di sentire forte il dovere morale della memoria.

Prof. Lucia Pagni Firenze
 

 

Quella è stata la più macellaia tra le generazioni

“Mi chiamo Katuscia e ho 12 anni. Mi ritengo molto fortunata solo per non essere nata cinquant’anni fa in mezzo a quel cumulo di nefandezze commesse dalla più macellaia tra le generazioni del mondo. Sto parlando dell’Olocausto”

Katiusca Baroni, II G
 
 
Quello che mi fa rabbia è che era tutto meditato

“Una volta finita la guerra i tedeschi, incolpati di omicidio e tentato genocidio, si sono difesi dicendo che durante una guerra le persone muoiono, e questo è normale, sono cose che capitano, ma questo non è vero! Già nel 1933 c’erano i campi di lavoro, ed è questo che mi fa rabbia: era tutto premeditato: hanno ucciso 6 milioi di ebrei, e secondo loro era normale!”.

Rosanna Roberts, III e
 

 

Voghera

A due passi da Mauthausen non “sapeva” indicarci la strada per il Lager!
Stavo per visitare un Campo di sterminio e quasi non me ne rendevo conto. Il pullman procedeva lentamente dal centro di Mauthausen verso il Lager. Il campo era piuttosto lontano dal centro della città così com’era lontano dalla mente e dalla sensibilità dei suoi abitanti, al punto che alcuni non seppero (o non vollero) fornirci indicazioni a proposito della strada da percorrere. Giungemmo nei pressi del Lager e mi sentii subito immersa in uno strano grigiore, che andava oltre il cielo coperto, la nebbia e il colore dell’edificio. All’interno vidi le baracche di legno adibite a dormitori con cuccette minuscole su tre piani, i lavatoi, le docce, le camere a gas, i forni crematori e la scala della morte. Ero turbata, non riuscivo a spiegarmi il perché, non trovavo una sola ragione, sia pur crudele o insulsa, in grado di giustificare, o quanto meno di motivare, una sin-ùle atrocità. Provai a pensare che tutto era passato, finito, che io non dovevo preoccuparmi perché comunque non avrei potuto fare nulla, ma non ci riuscii.
Poco dopo visitai una mostra allestita all’interno del Lager ove erano esposti strumenti di tortura, vecchie uniformi, documentazioni e itinerari fotografici. Fu in quel momento che vidi, esposte in una bacheca, alcune fotografie di miei coetanei, vittime, in un primo tempo, di quelle torture, e in seguito, di una morte iniqua, insensata e ingiustificata. A quel punto si spensero le luci ed una voce annunciò in tedesco che l’orario di apertura della mostra era terminato. Sconcertata una volta di più, uscii da quell’edificio tra le lamentele dei miei compagni ai quali non sembrava giusto interrompere un visita tanto significativa. Alle soglie del Duemila e dell’Europa Unita, quel passato così triste, quel mondo di negazione, che annullò la dignità umana, sia nelle vittime che negli oppressori, è davvero cosi lontano? E’ davvero un uomo colui che, a un chilometro dal Lager, non “sa” indicare la strada per raggiungerlo?

Silvia Falbo Liceo scientifico “Galilei” Voghera
 

 

E’ un argomento che rimane impresso come una ferita

“Purtroppo non abbimo ancora fatto la Seconda guerra mondiale come argomento, ma potrò lo stesso fare questo tema, perchè ho sentito molto parlare di questo argomento, e perchè esso ti rimane impresso nella mente come una brutta ferita”.

Ivan Vigotti, III B
 
 
Il razzismo minaccia ancora la pace

“La convinzione della superiorità di una razza sulle altre continua ancora a rendere impossibile un maggiore sviluppo economico e sociale dell’interno mondo, aggravando le tensioni internazionali e minacciando la pace”.

Alessanra Chirizzi e Claudia Costantinopoli, II G
 

 

Chiavenna (Sondrio)

L’ex deportato raccontava come se tutto fosse avvenuto soltanto la settimana prima….

Mercoledì mattina, anziché rimanere in classe ad ascoltare noiosissime lezioni, ci siamo recati all’Alberghiera. In questa scuola era arrivato da Pavia il sig. Ferruccio Belli, ex-deportato dei campi di sterminio di Flossenburg e Dachau. Era accompagnato dal sig. Carlo Pietra, più volte arrestato e ferito come partigiano. Il signor Belli ci ha raccontato la sua vicenda come se fosse avvenuta la settimana prima, perché fatti così orribili, io credo che siano molto difficili da dimenticare. Molte cose ci hanno colpito in quell’incontro. Fra le tante il fatto che lui sia stato arrestato (come antifascista) proprio il giorno prima che nascesse il suo unico figlio. Il desiderio di vederlo è stata l’ancora di salvezza che gli ha permesso di resistere.
Durante il viaggio verso il Lager lui e i suoi compagni sono stati obbligati a rimanere 4 giorni e 4 notti chiusi in un vagone merci, al buio, ammassati a tal punto da non potersi muovere, senza cibo né acqua. Il disagio dei bisogni fisici era stato risolto facendo un buco nel pavimento delvagone. Nei campi di Flossenburg e Dachau ha conosciuto la crudeltà delle SS che non solo volevano ucciderli materialmente, ma anche nell’animo, in modo che perdessero la loro dignità di uomini, proprio come dice Primo Levi nel suo libro “Se questo è un uomo”. Tra le umiliazioni più terribili quella di essere legati con una catena al collo e una ai piedi ed essere costretti come un cane ad abbaiare, a mangiare con la bocca dalla ciotola, tra il divertimento delle SS. Nel campo di Flossenburg ha visto un bambino polacco incaricato di svestire i morti e di ammucchiarli; al di là del filo spinato lo guardava con grandi occhi terrorizzati. Un giorno, a rischio della propria vita, il bambino gli ha lanciato una camicia appena tolta ad un cadavere, avendo visto che Belli aveva solo una maglietta di cotone. Egli ancora oggi rivede di notte quegli occhi… “Quello che direte, se uscirete, tanto non verrà creduto” è una frase, detta dai suoi carcerieri, che gli è rimasta nella mente: erano tanto orribili le cose che succedevano che nessuno avrebbe mai creduto che fossero vere. Mentre Belli ci raccontava la sua agghiacciante testimonianza, sul muro scorrevano le immagini delle diapositive (scattate dalle SS) che mostravano mucchi di cadaveri, donne nude con i loro piccoli che si avviavano alle camere a gas credendo di andare a fare la doccia, esseri umani ridotti a scheletri. Dopo tutti questi orrori e dopo tutte le prove che esistono, oggi c’è ancora chi sostiene che l’Olocausto non è mai esistito e che è tutta una messa in scena! Affinché questo non ritorni, Belli ci ha invitato con insistenza a studiare, perché, secondo lui, sia il fascismo che il nazismo sono andati al potere perché hanno trovato un popolo ignorante che si è fatto incantare dai bei discorsi. Oggi, poi, con la potenza della TV, sarebbe più facile farsi imbambolare, corrompere, comprare da idee sbagliate. Le parole di questi due testimoni mi hanno fatto capire quanto i nostri nonni e bisnonni abbiano lottato per la libertà di cui noi, oggi, godiamo e come sia importante non perderla.

La classe III C Scuola Media statale “Bertacchi” Chiavenna (So)
 

 

Cosa ho imparato dalle testimonianze sui Lager nazisti

“I tedeschi mentre conquistavano territori, rastrellavano la popolazione, e portavano nei campi di concentramento oltre agli ebrei tuttii coloro i quali avessero idee politiche diverse da quelle imposte dal Führer. Dalle testimonianze che ho sentito si dice che le persone che si trovavano nei Lager erano trattate come schiave, private della loro personalità, derisee usate come cavie per esperimenti di vivisezione”.

Claudio De Rosa, III E