Discorso di Gianfranco Maris tenuto al Cimitero ebraico di Milano – 1° novembre 2005
La storia ritorna sulle labbra del Presidente di una Repubblica teocratica, l’Iran!
Pubblicamente, solennemente, nell’ambito di indirizzi istituzionali a folle fanatizzate.
Ritornano i criminali slogans komeinisti di odio, di distruzione di un altro Stato, di un altro popolo, del popolo di Israele.
Soltanto parole?
Per infiammare un nazionalismo decrepito, senza libertà, di giovani che non si vuole che guardino intorno a sé e vedano e capiscano quanto diverse siano veramente le strade della democrazia?
E comunque non si vuole che vedano neppure quale potrebbe essere una diversa e originale promozione sociale del loro Paese, se la democrazia occidentale rifiutano, perché estranea ai riferimenti teocratici dell’islam?
Le vie, comunque, di una promozione sociale che si mantenga in un quadro di rispetto di se stessi e di tutti i popoli, in un quadro di rispetto dei diritti fondamentali alla vita di ogni uomo, in un quadro di testimonianza dei valori di solidarietà umana di cui è connaturata ogni trascendenza religiosa.
È vero che una voce di moderazione, interessata a che non si pronuncino parole che creino per l’Iran problemi con il mondo, si è levata, quella dell’Ayatollah Katami, ma è anche vero che – nella diarchia iraniana di un potere politico dittatoriale e di un potere ideologico teocratico – alla criminale istigazione di odio e di distruzione dello pasdaran Ahmadinejad, Presidente della Repubblica, legato alle milizie, subito si è unito l’Ayatollah Khamenei, massimo rappresentante del potere ideologico teocratico, manipolatore politico della parola di dio.
Non parole, dunque, ma il ritorno della storia!
Senza armi ancora, ma già con un disegno politico immediat unificare il fronte iracheno a quello palestinese; creare un unico fronte terroristico; costruire sulla follia della guerra irachena una trincea più avanzata, unica, sia del conflitto palestinese globalizzato contro l’occidente sia dei disegni di potenza regionale coltivati da Teheran.
È la storia che ritorna ad evocare nemici inesistenti, per condurre crociate criminali in funzione di un ordine nuovo violento e liberticida.
E la storia ci ha insegnato che le parole sono esse stesse già un delitto e che attendere che si armino per contrastarle è stolido, quando non è complicità.
Bene hanno fatto tutte le cancellerie a muoversi, a convocare il ministro degli esteri iraniano per denunciare e condannare il comportamento dell’Iran.
Bene farà l’ONU, bene farà la UE a muoversi, ad agire.
Tutti si debbono muovere, tutti si debbono mobilitare, immediatamente, nella pace, senza le armi, con gli strumenti della democrazia. Ma tutti debbono muoversi perché si sappia che non sarà consentito a nessuno, mai più, di violentare la storia per fini di delitto!
Bene, quindi, la manifestazione unitaria che si farà in Italia contro le folli istigazioni dell’IRAN. Noi vogliamo ciò che vuole la stessa Autorità nazionale palestinese: “Aggiungere lo stato di Palestina sulla mappa del mondo; non cancellare Israele!”
Manifestazione unitaria, dunque, senza condizioni, perché non c’è dubbio che, nella Palestina, sono due i popoli che noi vogliamo che vivano liberi e indipendenti; uno a fianco dell’altro, trovando ciascuno il bene del rispetto dei diritti dell’altro. Ma oggi non è questo che c’è bisogno di sottolineare.
Oggi non è questo il bene che è aggredito dalla parola dello pasdaran Ahmadinejad e del teocrate Khamenei, né noi possiamo riconoscere nulla che nelle loro parole sia rispettabile, perché, tutto ciò che è nelle loro parole è soltanto odio, delitto, pretesto.
Noi dobbiamo capire, soltanto capire, tutti noi, che non vi sono mai nel mondo vicende di ingiustizia, di offesa, di sopraffazione, di delitto, che, di volta in volta, riguardino questo o quel popolo, questa o quella etnia, questa o quella minoranza, questo o quel gruppo.
Ogni vicenda di ingiustizia, di offesa, di sopraffazione, di delitto, riguarda sempre, sempre, sempre, ciascuno di noi.
La Shoah stessa non è, non è mai stata, non potrà mai essere una questione soltanto ebraica, perché le persecuzioni degli ebrei sino al genocidio, sono nate nelle nostre istituzioni, sono state tollerate dalle nostre comunità, sono diventate delitto e legalità nelle nostre leggi.