Poco meno di un secolo fa l’Europa era in ginocchio, semi-distrutta dalla prima Guerra Mondiale. Insieme ai lutti e alle macerie la guerra aveva lasciato come eredità una gravissima crisi economica che privava milioni di giovani di un lavoro dignitoso. Con la disoccupazione svanivano i sogni di un’intera generazione, doppiamente frustrata per avere combattuto per anni nelle trincee e ora messa ai margini della società.

Allora, negli anni Venti del secolo scorso, fu chiaro che la terribile lezione della guerra non era stata compresa. In tutti i paesi – e bisogna pur dirlo: in primo luogo in Italia – riprese fiato un nazionalismo xenofobo e antisemita. Nacque così il fascismo italiano, precursore di altri movimenti e regimi fascisti e nazisti europei.

Alla propaganda guerrafondaia, minacciosa nei riguardi dei vicini, faceva riscontro all’interno la repressione violenta di ogni dissenso. Il carcere, il confino, le violenze fisiche e persino alcune decine di condanne a morte furono il prezzo che gli oppositori pagarono in Italia all’affermazione di Mussolini.

Alla fine degli anni Trenta la guerra, così spesso evocata nella propaganda, scoppiò in tutta la sua ferocia, investendo in breve ogni continente e travolgendo decine di milioni di vittime, anche civili.

Il sistema dei campi di concentramento allestito dai nazisti con la complicità dei governi fascisti locali è in qualche modo l’emblema di quei regimi di quella guerra, e resta come una macchia indelebile sulla coscienza europea. Uomini, donne e bambini furono deportati e sterminati per la loro origine, per il loro credo, per le loro opinioni politiche o anche solo per non essersi piegati alle imposizioni del regime.

Accadde anche qui, dove ci troviamo oggi, a Ebensee, dove morirono orribilmente, accanto a migliaia di persone provenienti da tutta Europa, più di 700 italiani, quasi i due terzi di quanti furono deportati dall’Italia in questo Lager. Le spoglie mortali di tanti tra loro riposano ancora qui, nelle fosse comuni di questo grande cimitero europeo.

Nel maggio del 1945, quando gli eserciti alleati aprirono finalmente i cancelli di questi Lager, i superstiti si riunirono e giurarono di battersi con tutte le forze per un mondo di pace, di fratellanza, di solidarietà, di giustizia per i popoli del mondo.

L’Europa moderna, quella che ha garantito decenni di pace al continente, è nata anche da questi Lager, da quelle inumane sofferenze, da quel giuramento.

Oggi, proprio mentre la voce dei testimoni di quella tragedia si va affievolendo, l’Europa sembra imboccare la vecchia strada delle divisioni, dei nazionalismi contrapposti, dei muri e dei fili spinati. Ai giovani, cui una lunga crisi nega l’accesso a un lavoro dignitoso e stabile, si additano come nemici, in qualche modo responsabili delle nostre comuni difficoltà, gli ultimi della terra: le famiglie, i bambini in fuga dalla fame e dalla guerra, contro i quali si invocano spietate repressioni. Tutto questo viola apertamente l’Art. 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, che tutti i paesi Europei hanno sottoscritto, e che prevede che “Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni.”

Noi oggi siamo qui, ancora una volta, accanto ai nostri morti, accanto ai pochi testimoni superstiti, per rinnovare quell’antico giuramento partito da Mauthausen di combattere “contro l’istigazione tra i popoli”, per la “collaborazione nella grande opera di costruzione di un mondo nuovo, libero e giusto per tutti”.

E' lo stesso impegno contenuto nel Patto di gemellaggio tra Prato ed Ebensee che l’anno prossimo festeggia il suo trentennale: “La città di Prato e la città di Ebensee, unite nel ricordo delle vittime della barbarie nazifascista, sottoscrivono questo patto di gemellaggio quale impegno concreto per una azione comune, tesa all’affermazione della pace nel mondo e degli ideali di fratellanza e di solidarietà.”

L’ANED, l’Associazione italiana degli ex deportati che io oggi ho qui l'onore di rappresentare, ha promosso nelle settimane scorse una sottoscrizione popolare e ha raccolto così i soldi necessari al restauro del Monumento eretto qui nel 1948 da Hilda Lepetit in memoria del marito Roberto e di tutti gli italiani che qui persero la vita. La grande croce progettata da Gio Ponti si erge ora chiara, pulita, imponente al centro di quest’area memoriale, come nel giorno dell’inaugurazione, quasi 70 anni fa.

Il suo restauro è esso stesso simbolo del nostro impegno. Passano i decenni, si alternano le generazioni, tutto cambia. Ma non muterà mai la lezione che da questi tragici luoghi ci giunge, oggi come allora: difendiamo la solidarietà internazionale tra i popoli; contro il nazionalismo e il razzismo, cancro del mondo, nemici della pace, della giustizia e della libertà di tutti!