Oltre ai pellegrinaggi del mese di maggio nei lager di Mauthausen, Gusen e Hartheim, l’Aned di Sesto San Giovanni da qualche anno organizza nel mese di ottobre un pellegrinaggio per visitare altri lager nei quali siano stati deportati i lavoratori dell’area industriale di Sesto San Giovanni, caduti o sopravvissuti.
Quest’anno, nei giorni 19/22 ottobre, la visita ci ha portato a visitare il lager di Kahla, noto come “campo di lavoro”, per lavoratori coatti e definito come KL.
Perché visitare questo campo?
Nell’ambito della ricerca sulla deportazione della nostra area, condotta dal presidente della Sezione di Sesto San Giovanni, Giuseppe Valota, sono stati trovati 28 nominativi di lavoratori deportati in quel lager. Di costoro 27 erano della Pirelli e uno della Breda.
Il 23 novembre 1944 uno sciopero alla Pirelli Bicocca di Milano causò l’arresto in fabbrica di 183 lavoratori da parte dei tedeschi coadiuvati dai fascisti. Furono imprigionati nel carcere di San Vittore e 153 di essi partirono il 28 novembre dallo scalo Farini per i lager e le fabbriche tedesche. Giunsero alla periferia di Innsbruck, nel lager di Reichenau; il 7 dicembre furono divisi per località di destinazione e 27 di loro finirono a Kahla. Nel campo morirono in otto (compreso il lavoratore della Breda, giunto a Kahla con un altro trasporto), e uno morì in ospedale a Milano-Niguarda pochi mesi dopo il rientro in Italia a seguito malattia contratta nel lager. Kahla – lager autonomo dove si montavano aerei a reazione Me262, nell’ambito del progetto Reimahg – è un lager pressoché sconosciuto dove vi fu una elevata mortalità. Un lager dove non c’erano il forno crematorio e la camera a gas ma dove morirono “ufficialmente” 441 italiani, insieme con deportati di altre nazionalità. Si calcola che in un anno di vita del lager i morti furono circa 2.000.
Ecco quindi valide motivazioni per organizzare un pellegrinaggio a Kahla.
Il nostro gruppo era composto da 40 persone, tra cui due ex deportati in quel campo e 4 figli di persone morte in quel luogo.
Nino Bignami, uno dei due deportati presenti tra noi, ci ha raccontato la tragica esperienza vissuta a Kahla. Arrestato dai repubblichini in casa di notte è arrivato a Kahla vestito del suo pigiama e con le sue ciabattine, che sono stati il suo unico abbigliamento per i primi tre mesi della sua deportazione. Ci ha descritto lo sforzo quotidiano compiuto per sopravvivere e riuscire a tornare a casa.
Raccontava e, vi assicuriamo, il suo racconto era uguale a quello di tanti reduci dei Kz.
E i figli dei morti di Kahla, presenti nel nostro gruppo, hanno vissuto la stessa sofferenza di noi figli dei morti dei Kz.
Preziosa è stata la presenza nel gruppo di Bruno e Pinuccia Gervasoni, figlio e nuora di Francesco, uno dei deceduti della Pirelli a Kahla. Pinuccia è attiva da circa 10 anni per cercare di mantenere vivo il ricordo sia dei luoghi (Kahla è divisa in più lager) che degli avvenimenti tragici là avvenuti e ci ha messo in contatto con le persone facenti parte di un’Associazione del ricordo con le quali ci siamo poi incontrati.
Il nostro primo incontro è stato con il console italiano a Lipsia, Adriano Tedeschi, nostro ospite a cena, la sera del nostro arrivo in albergo. L’indomani, nella bella sala consiliare del Municipio di Kahla, l’incontro con il borgomastro della cittadina, Bernd Leube, al quale abbiamo portato un piccolo omaggio del nostro Comune con una lettera di saluto del nostro Sindaco Giorgio Oldrini. Poi, per tutta la giornata, siamo stati ospiti di Patrick Brion, un militare belga, a capo dell’Associazione citata e con lui abbiamo iniziato con il visitare la mostra che egli ha realizzato sul campo di Kahla. Patrick e sua moglie hanno costruito un grande plastico dei vari lager ruotanti intorno alla città di Kahla e ci ha descritto in modo molto interessante e approfondito la sua mostra che è stata inserita in modo permanente nel museo della cittadina di Kahla. Con Patrick abbiamo proseguito il giro storico rendendo omaggio al monumento dentro il cimitero della città che ricorda il sacrificio dei martiri di nove nazioni. Infine ci siamo recati sulla collina del Walpersberg, luogo dove sorgeva la pista di decollo degli aerei appena montati nel campo.
Il luogo è stato recentemente profanato: mani ignote hanno rotto e tolto diverse targhe commemorative lasciandone solo tre, una delle quali cita i nomi degli operai della Pirelli e ricorda il loro sacrificio.
Recentemente il luogo del Walpersberg è stato acquistato da un’associazione denominata”Geschichts und Forschungsverein Walpersberg E.V.” – Associazione del ricordo storico del Walpersberg – il cui responsabile, che ci ha accolto con un saluto, si chiama Markus Gleichmann. Lo scopo di quest’Associazione non è ben chiaro, tant’è che il Sig. Brion si è dissociato da loro e questa separazione dura ormai da un anno. Sembra che questi giovani vogliano “commercializzare” il luogo come simbolo di costruzione di aerei in tempo di guerra e come luogo di studio sui primi aerei a reazione, lasciando in secondo piano l’aspetto tragico dello sfruttamento di deportati che, come si è visto, ha dato un numero enorme di morti. Il nazismo, con la sua folle ideologia, che ha portato anche qui morte e desolazione sembra porsi a questa associazione come aspetto secondario. L’Aned di Sesto, coinvolgendo le varie istituzioni, cercherà di dare un contributo per chiarire questi aspetti.
Come ha detto il sindaco di Sesto Giorgio Oldrini nel messaggio che è stato letto nella sala consiliare del Comune di Kahla, di fronte al borgomastro: “Molti di loro sono morti in combattimento o sono stati fucilati, moltissimi altri hanno preso la strada dei campi di stermino o, eufemismo degno delle peggiori dittature, di lavoro, e non ne sono ai più tornati”.

Nell’interessante ricerca sul campo Kahla, Massimiliano Tenconi, amico dell’Aned, riporta due riflessioni di due deportati. La prima di B. Bolognesi : “Ci sono mille e mille storie della deportazione, ognuna diversa, ognuna con le sue sofferenze, ma tutte hanno in comune: fame, freddo, morte, pidocchi, malattie, maltrattamenti”. L’altra è del deportato Luigi Poggioli, che dice: ”Molti dei miei interlocutori mostravano di riconoscere solo le sofferenze inflitte nei grandi lager (…) e qualche volta fui guardato con aria di sufficienza e come un qualunque contaballe”.
L’Aned di Sesto è lieta di avere fatto questa scelta e sembra, così hanno detto coloro che ci hanno accolto, che sia l‘unica Aned ad aver visitato il Lager.
Speriamo allora di avere aperto una strada nuova.

Ionne Biffi

Le immagini del viaggio