Per il ministro degli Esteri italiano Frattini la Germania deve opporsi all’indennizzo richiesto dagli “schiavi di Hitler”. Lo ha detto lo stesso Frattini in una intervista a un importate giornale tedesco. Il quotidiano il Manifesto ha dato notizia di questa grave presa diposizione, ignorata dalla grande maggioranza dei media italiani. Riprendiamo per intero il servizio del corrispondente da Berlino Guido Ambrosino pubblicato sul Manifesto.

«ROMA APPOGGIA BERLINO», FRATTINI MOLLA I DEPORTATI
Guido Ambrosino


BERLINO. Quanto vale la parola del ministro degli esteri Franco Frattini? Il 17 giugno a Berlino aveva rassicurato i rappresentanti della stampa italiana: «Sulla questione degli indennizzi per i sopravvissuti al lavoro coatto nella Germania nazista, sentiremo il parere delle loro organizzazioni». Invece, sparando alle spalle agli interessati con un’intervista alla Süddeutsche Zeitung, pubblicata ieri dal quotidiano tedesco, il Franco tiratore rinuncia a ogni risarcimento: anche al simbolico compenso di 2.500 euro, che pure la Germania ha pagato, sulla base di una legge del 2000, ai forzati di altri paesi.
La Süddeutsche annuncia in prima pagina: «Roma appoggia Berlino nella controversia sugli Zwangsarbeiter», il termine tedesco per lavoratori coatti. E riassume l’intervista nei termini seguenti: «Il ministro degli esteri italiano Franco Frattini suggerisce, al posto di un risarcimento in denaro, la costruzione di un monumento. Secondo Frattini, agli interessati non servirebbe un compenso di poche migliaia di euro. Il ministro degli esteri italiano condivide quindi la posizione del governo tedesco, che respinge tali richieste. L’Italia – così Frattini – non vuole creare difficoltà  a Berlino, ma aiutare a risolvere un problema».
Martedì scorso, dopo un incontro col ministro degli esteri Steinmeier nella capitale tedesca, Frattini aveva dato notizia della creazione di un gruppo di lavoro bilaterale «per risolvere» l’annosa controversia sugli indennizzi negati. Ora apprendiamo che gli esperti dovranno invece metterci una pietra sopra, magari un cippo marmoreo.
Sulla via della sciagurata intesa alle spalle degli Zwangsarbeiter c’è però un ostacolo: l’ordinanza con cui il 4 giugno la Corte di cassazione, confermando una sua sentenza del 2004, ha stabilito la legittimità  delle richieste di risarcimento avanzate da ex deportati civili e internati militari italiani, tutt’ora pendenti davanti ai tribunali di diverse città  italiane.
Per i giudici delle sezioni unite civili, la Repubblica federale tedesca non si può trincerare dietro il principio dell’«immunità» statale che, secondo una vecchia tradizione, metteva in passato gli stati al riparo da richieste di risarcimento presentate da persone private. Secondo l’ordinanza 14201/08 tale immunità  cessa di fronte a gravi crimini di guerra e a crimini contro l’umanità, «che segnano anche il punto di rottura dell’esercizio tollerabile della sovranità».
Non c’è dubbio che la coazione a lavoro, nelle condizioni di prigionia dei lager nazisti, sia stata un crimine contro l’umanità . Joachim Lau, avvocato tedesco che esercita la professione a Firenze e che da anni si batte per i diritti degli ex deportati, riassume quella tragedia in un elementare dato statistico: «Secondo le stime più recenti, i deportati avviati al lavoro coatto da tutta Europa furono 18 milioni. Di questi solo 7 milioni tornarono a casa, 11 milioni sono morti nei lager».
Cosa pensa Frattini della giurisprudenza della Corte di cassazione? «Ritengo pericolosa questa sentenza», risponde il ministro alla Süddeutsche. Vi vede infatti un rischio per «la sicurezza del diritto». Si badi bene: non la sicurezza dei cittadini a vedere punite e risarcite le violazioni loro inflitte. Ma la sicurezza del «diritto» degli stati a far quel che gli pare, sapendo che semmai dovranno renderne conto a altri stati, ma non alle individuali vittime della loro violenza.
Il nuovo principio di responsabilità  civile, stabilito dalla Corte di cassazione, vale per tutti gli stati. Quindi, ricorda giustamente (e maliziosamente) l’intervistatore Stefan Ulrich, corrispondente della Süddeutsche da Roma, anche per i crimini commessi dall’Italia fascista nei Balcani, in Libia, in Etiopia. Può riguardare anche, aggiunge da Firenze l’avvocato Lau, controparte della Germania nei giudizi in cassazione, l’uso di munizioni all’uranio in Kosovo, oppure le bombe al fosforo gettate dagli Usa sulla città  irachena di Falluja.
L’intervistatore propone a Frattini che Italia e Germania chiedano di comune accordo un parere alla Corte di giustizia internazionale dell’Aja, nella speranza – non si sa quanto fondata – che ne venga una tirata d’orecchi per la nostra Corte di cassazione. Il nostro ministro si dice «aperto» a una simile soluzione.
Dall’ufficio giuridico del ministero degli esteri tedesco confermano che proprio questa è la «via» che si intende percorrere: la richiesta consensuale di un «parere consultivo».
Del resto non sembra che la Germania possa citare in giudizio l’Italia senza l’esplicito assenso del nostro governo. È vero che i paesi europei hanno firmato nel 1957 una convenzione che li impegna a sottoporsi alla giurisdizione dell’Aja in caso di controversie, ma solo su questioni successive alla data di ratifica.
Anche per la richiesta di un parere consultivo, l’avvocato Lau vede una difficoltà: «La premessa è che tra gli stati ci sia un conflitto. Visto che Frattini si dichiara d’accordo col governo tedesco nel respingere le pretese degli ex internati e nel tutelare sempre e comunque l’immunità degli stati, il conflitto dov’è?».
Il senso politico dell’intervista di Frattini è gravissimo. Il ministro accetta un patto d’omertà  tra le ex potenze dell’Asse fascista per «chiudere» il capitolo delle guerre passate, presenti e future.
A tal fine prende le distanze dai cittadini italiani, ex internati militari e deportati civili, che hanno citato in giudizio lo stato tedesco e chiedono un risarcimento. Sposa anzi le ragioni della controparte, come se fosse ministro del re di Prussia.
Inoltre denuncia come sovvertitori dell’ordine giuridico internazionale i giudici della cassazione. Ora, sebbene siamo orami abituati a sentir dichiarare pazzi i giudici, crediamo che la costituzione repubblicana continui a imporre al governo di rispettare le sentenze del potere giudiziario. Può un ministro brigare, insieme al governo tedesco, per aggirare il verdetto della cassazione con un inciucio all’Aja?
Ci piacerebbe sapere cosa ne pensa Giorgio Napolitano, presidente della repubblica e del consiglio superiore della magistratura. E cosa ne pensa l’opposizione in parlamento, se ancora c’è.
 

Pubblichiamo stralci dell’intervista concessa dal ministro degli esteri italiano Franco Frattini al quotidiano Süddeutsche Zeitung, che l’ha pubblicata ieri sotto il titolo «Ritengo pericolosa questa sentenza».
Si tratta della sentenza della Corte di cassazione italiana che il 4 giugno ha riconosciuto la legittimità  delle richieste di indennizzo da parte di singoli cittadini, reduci italiani della seconda guerra mondiale.
Il quotidiano tedesco richiama così l’intervista nella sua prima pagina: «Roma appoggia Berlino nel conflitto sul lavoro coatto».

SZ. (…) La vostra Corte di cassazione ha deciso che la Germania non può appellarsi alla sua immunità statale, se chiamata in giudizio davanti a tribunali italiani, costretti al lavoro dai nazisti.
Frattini
: Considero pericolosa questa sentenza. Se i tribunali decidono caso per caso, quando uno stato è immune, non ci si può più affidare al principio dell’immunità statale. Ma il mondo ha bisogno di certezza del diritto. Altrimenti si scardina tutto
SZ: Cosa può fare il suo governo?
Frattini
: Vogliamo riunire un gruppo d’esperti italo-tedesco. Dovrà  valutare un gesto nei confronti degli ex deportati costretti al lavoro. Queste persone hanno sofferto. Dargli ora 3.000 euro non è quello di cui hanno bisogno.
SZ: Di cosa hanno bisogno?
Frattini
: Penso che un gesto simbolico sia importante. Magari un memoriale eretto congiuntamente da Italia e Germania o un museo della memoria.
SZ: La Germania considera l’eventualità  di deferire l’Italia alla corte internazionale di giustizia dell’Aia, per vedervi confermata l’immunità  statale. Non sarebbe meglio se Berlino e Roma chiedessero insieme un parere alla corte internazionale?
Frattini
: Sono aperto a ogni soluzione, che non ferisca le persone che hanno sofferto.
SZ: Anche l’Italia ha un interesse a tutelare l’immunità  degli stati?
Frattini
: Sì.
SZ: Altrimenti anche l’Italia potrebbe essere citata in giudizio da vittime di guerra, magari nei Balcani…
Frattini
: Sì.
SZ: O in Libia o in Etiopia?
Frattini
. Sì. In ogni caso non vogliamo creare difficoltà  a Berlino. Vogliamo invece dare il nostro contributo alla soluzione di un problema che non riguarda solo il governo della Repubblica federale tedesca.