Nella pagina “Idee&opinioni” il Corriere della sera del Primo maggio 2012 ospita un intervento di Pierluigi Battista dedicato al “Presidio antifascista” alla Camera del Lavoro di Milano di due giorni prima.
È un articolo che vi invito a leggere.
Si tratta in effetti di un testo che andrebbe studiato nelle scuole di giornalismo, come esempio di faziosa falsificazione dei fatti. Si inventa una premessa falsa (nel nostro caso, che il presidio sarebbe stato indetto per “ostacolare la celebrazione in cui si ricorda l’uccisione di Sergio Ramelli”) e di lì si imbastisce una polemica del tutto pretestuosa.
Pierluigi Battista, come tanti commentatori da divano, non si è preso la briga di verificare alcuna delle informazioni che ci dà per certe. Non ha letto l’appello del sindacato che chiamava al presidio, non è andato in corso di Porta Vittoria a vedere come quel presidio si stesse effettivamente svolgendo. L’avesse fatto, avrebbe constatato che l’assunto del suo commento era completamente falso.
Io ho partecipato, con altri iscritti dell’ANED, a quel presidio, e posso testimoniarlo senza tema di smentita.
La manifestazione era stata indetta perché a pochi metri dalla Camera del Lavoro, presso la sala dei congressi della Provincia di via Corridoni, era stata indetta una commemorazione di Ramelli alla quale era annunciata la partecipazione di una sfilza di sigle della destra neofascista che già in passato si sono rese responsabili di violenze, pestaggi, assalti a pacifiche riunioni. “Per scoraggiare qualsivoglia intimidazione o provocazione e ribadire il carattere e il valore universale della resistenza al fascismo e al nazismo – così recita l’appello del sindacato – la Camera del Lavoro di Milano, organizza per domenica 29 aprile 2012 un presidio democratico e antifascista davanti alla propria sede in corso di Porta Vittoria 43.”
Il presidio si è svolto tra chiacchiere e canti, in modo assolutamente tranquillo (vedi le foto di Leonardo Visco Gilardi). Ma a Battista questo non interessa minimamente. Lui si scaglia contro la CGIL – va di moda, in questo periodo, prendersela con la CGIL – colpevole, a suo dire, di “avere nostalgia per quel pezzo lugubre e cupo della storia italiana, quell’orribile decennio dei Settanta in cui si urlava nelle piazze che ‘uccidere un fascista non è reato’…”. Perché “picchiavano tutti, negli anni Settanta, senza esclusione” (!).
In un crescendo di fiero sdegno il Nostro bolla il presidio con parole che vorrebbe definitive: “…appare stupefacente la riluttanza cieca di alcune minoranze fanatizzate, che a Milano hanno preso in prestito le bandiere di una gloriosa organizzazione sindacale, la CGIL, per inscenare una manifestazione contro chi voleva ricordare Ramelli (aridaje, N.d.A). Sono frange di irriducibili, certo. Ma è triste la mancanza di memoria storica…” e via tuonando.
Sono parole gravi, che non fanno onore al giornale che le ha pubblicate.
Battista non è neppure andato la sera a vedere chi fossero i galantuomini che si erano mobilitati – questi sì – con il pretesto di onorare Sergio Ramelli. Se ci fosse andato, come io ho fatto, avrebbe visto sfilare il lugubre corteo militarizzato, rigorosamente in fila per 5, dal primo all’ultimo partecipante, con coreografie di bandiere con la croce celtica, tamburi, fiaccole, che scimmiottavano i raduni nazisti dei primi anni Trenta. Avrebbe visto la schiera degli uomini inquadrati con giubbotti, stivali, teste rasate d’ordinanza; avrebbe visto il saluto romano esibito sotto la casa del ragazzo ammazzato. Tutto questo non ha minimamente sollecitato un barlume di “memoria storica” nel polemista.
Accecato dal sacro fuoco dell’attacco contro il fanatismo, i nostalgici, le “frange di irriducibili”, Battista questo corteo non l’ha visto, non ne ha letto, comunque non se ne è interessato. L’idea che organizzazioni violente che si rifanno dichiaratamente alle origine del fascismo squadrista potessero pensare di rinverdire le “glorie” degli assalti alle Camere del Lavoro non lo ha nemmeno sfiorato.
Al Corriere, dove sono così sensibili nella condanna del nazifascismo quando arriva il Giorno della Memoria, forse è il caso che si cominci a pensare di conservare un minimo di memoria anche per gli altri giorni dell’anno.
Dario Venegoni
Presidente dell'ANED di Milano