Riprendiamo da www.repubblica.it del 12 maggio 2011:

Shoah, condannato Demjanjuk
Cinque anni al boia di Sobibor
Un tribunale di Monaco dichiara colpevole il 91enne di origine ucraina per “concorso attivo” nell’assassinio di oltre 28mila ebrei nel campo di sterminio polacco. Ma resterà in libertà per l’età avanzata

Dal nostro corrispondente ANDREA TARQUINI

BERLINO – Il novantunenne d’origine ucraina John Demjanjuk, meglio conosciuto come ‘il boia di Sobibor’, è stato condannato oggi dal tribunale di Monaco a cinque anni di reclusione per concorso attivo nell’assassinio di almeno 28.060 ebrei, deportati dal Terzo Reich appunto nel campo di sterminio polacco e morti tra atroci sofferenze nelle camere a gas, uccisi dal letale Zyklon-B. La Corte, presieduta dal giudice Ralph Alt, ha comminato a Demjanjuk una pena inferiore di appena un anno rispetto alla richiesta (sei anni di reclusione) formulata dal pubblico ministero. Ma ha totalmente respinto l’assoluzione, chiesta con insistenza dal controverso difensore, Ulrich Busch. Il quale ha già annunciato il ricorso in appello. Vista l’età avanzata, Demjanjuk resterà comunque a piede libero.

In un momento in cui la nuova destra radicale raccoglie successi elettorali e impone svolte autoritarie in molti paesi europei, dall’Ungheria alla Danimarca, il verdetto emesso a Monaco ha grande significato politico e morale: la Germania (uno dei pochi paesi dell’Unione europea in cui la destra radicale non sia rappresentata nel Parlamento nazionale) non rinuncia alla Memoria. Conferma anzi, anche col verdetto, di non voler venir meno ai suoi doveri di ricordo e di giustizia verso le vittime della Shoah e i loro parenti, perché l’orrore non si ripeta. La Germania nel dopoguerra aveva già processato e condannato molti criminali nazisti tedeschi, ma questo di oggi è il primo verdetto emesso nella Repubblica federale a carico di uno straniero, di un non tedesco che fu al servizio della macchina della morte nazista.

Nato in Ucraina col nome di Ivan, Demjanjuk era soldato dell’Armata rossa e fu fatto prigioniero dalla Wehrmacht in avanzata, dopo l’attacco nazista all’Unione sovietica. Egli sostenne sempre di aver passato la guerra intera in prigionia, ma un documento d’identità nazista lo inchioda. E la magistratura lo ha ritenuto autentico. Il documento, emesso nel 1942, lo registra come “volontario ausiliario straniero” delle SS. In tale veste, ha ricordato il giudice Ralph Alt leggendo la sentenza, “l’imputato fu una parte della macchina dello sterminio, si preoccupò che le vittime non avessero possibilità di fuga e finissero nelle camere a gas”. Senza i volontari stranieri, ha ricordato la Corte, a Sobibor i nazisti non sarebbero riusciti a massacrare tutti gli ebrei la cui eliminazione era prevista dalla “soluzione finale”, il piano per il genocidio del popolo ebraico, pianificato a tavolino con efficienza industriale dai gerarchi del Reich. A Sobibor infatti erano in servizio appena 50 militari regolari delle SS e ben 150 ‘Trawniki’, come si chiamavano i volontari, in gran parte ucraini.

“Li spingeste a migliaia nelle camere a gas”, ha ricordato il giudice Alt elencando i dettagli più raccapriccianti, “anche con la violenza. Loro spesso cercavano invano, disperatamente, di aprire le porte dall’interno. Dopo sofferenze atroci, perdevano la coscienza e morivano. Lei, imputato, come tutti i Trawniki, sapevate perfettamente cosa accadeva là con la vostra partecipazione attiva, lei ha svolto un ruolo essenziale nell’annientamento del popolo ebraico”.

La sentenza tedesca è un chiaro schiaffo per la nuova destra, per i nostalgici, per i revisionisti della Storia e i negazionisti dell’Olocausto. Il difensore di Demjanjuk accusa sfrontatamente “la Giustizia americana e lo Stato d’Israele” di aver ispirato i tedeschi, e ha sporto appello. Per tutto l’anno e mezzo del dibattimento, Demjanjuk ha ostentato cattive condizioni di salute: è venuto in aula a volte su una sedia a rotelle, a volte su un letto d’ospedale mobile, e non ha mai voluto pronunciare una parola. Alla domanda del giudice, oggi, se egli volesse commentare la sentenza, ha risposto semplicemente “no”. Dopo la guerra Demjanjuk era riuscito a farsi un’esistenza da meccanico negli Usa. Arrestato e processato in Israele, era stato condannato a morte nel 1988 ma poi assolto per insufficienza di prove. La giustizia tedesca aveva impugnato a sua volta in caso e ottenuto l’estradizione.