Pubblichiamo il testo di un articolo di Gianfranco Maris, presidente dell’ANED, che uscirà contemporaneamente su il “Triangolo Rosso”, “Patria indipendente”, “Lettera ai compagni” e “ANPI Oggi”.

L’attacco terroristico dell’11 settembre alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono ha raggiunto un livello di gravità politica insopportabile, creando nel cuore del mondo un lutto incolmabile per la dimensione del dramma e per il numero delle vite umane travolte.

Gli Stati Uniti d’America sono drammaticamente mobilitati sul piano militare con i bombardamenti sull’Afganistan ed il mondo è in ansia per la minaccia che incombe su ogni uomo e su ogni donna, per le dimensioni del conflitto, per i suoi contenuti, per le sue conseguenze sulle libertà, sui diritti, sulle conquiste sociali, sui problemi insoluti e laceranti della fame, delle malattie, dell’analfabetismo, delle disuguaglianze, dell’emarginazione di popoli interi.

Si pensava che la conclusione della guerra fredda avesse risolto l’incubo dell’olocausto nucleare e aperto un orizzonte di cooperazione internazionale e che i rigurgiti nazionalisti e gli antagonismi etnici e religiosi non avrebbero più avuto alcun peso rilevante.

Francis Fukuglyama pronosticò la fine della storia.

La supremazia mondiale degli Stati Uniti non ha consentito, come fu pronosticato, di porre il punto fine alla storia.

Ed ecco i suoi spettri, e, con essi, gli incubi e i mostri che il sonno della ragione potrebbe far rivivere.

La condanna del terrorismo è stata unanime, la solidarietà e l’offerta di collaborazione agli USA sono state unanimi, per una lotta contro il terrorismo che non può e non deve escludere neppure le azioni militari.

L’Europa ha lanciato il suo segnale politico ed il suo impegno a fianco degli Stati Uniti in modo solenne, con una dichiarazione comune sottoscritta dai capi di stato e di governo, dal Presidente della Commissione Romano Prodi, dal Presidente del Parlamento Europeo Nicole Fontaine e dall’alto rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera Solana.

Nella dichiarazione comune si afferma che l’attacco è stato compiuto contro tutte le società aperte, democratiche, multiculturali. La dichiarazione ha giudicato intollerabile che alcuni paesi consentano sul loro territorio l’azione di reti terroristiche e chiede che gli esecutori, i mandanti ed i complici siano ovunque ricercati e puniti.

Alcuni stati europei, tuttavia, prospetta impegni “politici” e sembrano perplessi ad entrare nel terreno della risposta militare che gli Stati Uniti hanno deciso. E così la Nato.

La risposta al terrorismo deve essere limpida, nella quale il diritto internazionale, la dignità dei popoli e il rispetto degli innocenti siano garantiti. La volontà collegiale dell’ONU deve essere la base nella quale si debbono e si possono riconoscere tutti i popoli offesi nei loro valori fondanti.

La risposta al terrorismo può e deve essere sia militare che diplomatica, politica, civile, culturale, economica, se si vuole con essa pervenire non solo a distruggere le centrali dei delitti ma anche a porre le basi di una pace nella quale tutti i popoli indistintamente possano riconoscersi.

Qual è, in ciascuno di questi settori, la misura giusta della risposta?

Anche quando batte un’ora grave, che ciascun popolo e ciascun uomo richiama alle proprie responsabilità ed ai propri doveri, anche quando le decisioni non possono che essere estremamente ferme, anzi, soprattutto quando così la storia ci chiama per scelte decisive, sempre si deve rifiutare il sentimento come unica analisi ed unica ragione dell’azione.

Non è vero che cercare di comprendere le cause di ciò che è accaduto possa scadere nella sua giustificazione. Gli eventi debbono essere sottoposti ad una analisi stringente, che passi attraverso la storia, la religione, l’economia, i diritti .

La dimensione dell’odio che investe l’America non è normale.

La tesi che l’aggressione terroristica e l’odio siano provocati dall’ingiustizia e dalle disuguaglianze, che sicuramente nel mondo vi sono, e dal crescente divario tra un occidente straricco e un terzo mondo strapovero, non esaurisce l’analisi delle bombe umane e nulla attinge alla conoscenza della disperazione e della miseria e della connessa degenerazione di una fede intollerante ed estremista in larghi settori della umanità.

Questi fattori di pericolo devono essere meditati e capiti, ancor prima di porre in essere la repressione dei responsabili della aggressione terrorista, perché i pericoli mortali devono essere combattuti anche con la repressione, ma non a scapito di una battaglia più generale e democratica per trovare le strade per la ridistribuzione della ricchezza nell’ambito della globalizzazione e per garantire a tutti gli uomini i diritti fondamentali, anche quelli economici, dovunque, in ogni territorio e in ogni tempo.

Ciò non significa affatto operare, per combattere il terrorismo, una opzione esclusivamente politica, perché il terrorismo deve essere represso anche con mezzi di polizia e, se è necessario, militari, sia pure estremamente mirati.

Ciò significa che la lotta contro il terrorismo non deve coinvolgere i popoli e non deve coinvolgere le etnie e non deve coinvolgere le religioni, ma non deve neppure essere pretesto e neanche occasione per difendere un quadro di vastissimi interessi economici, quali sono quelli presenti nell’ambito dei paesi dove si trovano le fonti energetiche, del mondo.

La difesa di una supremazia economica, di dimensioni mondiali, basata sulla difesa di interessi economici di predominio nel campo energetico (Canada, Venezuela, Mar Caspio, Iran, Russia, Libia, Arabia Saudita) non deve “inquinare” la giusta azione di repressione e di prevenzione di un terrorismo che agisce criminalmente e sconvolge le prospettive di raggiungimento di traguardi di giustizia e di libertà e di benessere in tutto il mondo.

Non si deve dimenticare che varie civiltà hanno dovuto affrontare, nel corso dei due secoli passati, il problema di come sopravvivere di fronte all’occidente mosso da ragioni “commerciali”.

I Giapponesi si trovarono davanti alle navi dell’ammiraglio americano Perry, che voleva aprire il Giappone al commercio e davanti alle cannoniere inglesi a Nagasaki, che imposero addirittura anche il commercio dell’oppio.

I Cinesi cercarono una soluzione nella tradizione, con la rivolta dei boxer, ma poi imboccarono la via della modernizzazione di stile sovietico e ora quella di stile occidentale.

I Giapponesi si misero ad imitare con ossessione tutto ciò che era occidentale.

Nel 1914 – 1918, finita la prima guerra mondiale, i Francesi e gli Inglesi si spartirono il vicino medioriente con l’accordo di Sykes, ed i trattati di pace, nel 1920, insediarono monarchie autoritarie in paesi con confini tracciati con il righello, arbitrariamente.

Proprio queste divisioni, questi confini, furono fonte di grandi conflitti dopo il 1945.

Gli Stati Uniti intervengono nel medioriente dopo la seconda guerra mondiale con gli accordi di spartizione del mondo.

Il problema della sopravvivenza, come civiltà, di fronte all’occidente si è posta nel 900 anche per i musulmani, sia dopo la prima guerra mondiale e, soprattutto, dopo la seconda, con risposte incongrue che sono andate dal rifugiarsi nella tradizione a forme di occidentalizzazione fondate sull’adozione dei codici svizzeri o italiano in sostituzione della legge islamica, il tutto immerso in una commistione di interessi che accomunava tra di loro tutte le classi dominanti di tutti i paesi e che consentiva ai potenti dei paesi islamici di mantenere fermi i rapporti sociali interni dei loro paesi, nel quadro di arricchimenti senza limiti e di indigenza altrettanto senza limiti, in condizioni di vita caratterizzate da bassi consumi e gravi limiti dei diritti.

Per i fondamentalisti questa occidentalizzazione del mondo islamico è un anatema ed ai loro occhi il processo di occidentalizzazione è visto come un processo di annientamento.

Vedono negli stessi governanti e nelle stesse istituzioni all’interno dei singoli paesi islamici un tradimento che da all’occidente, grazie alla tecnologia che questo possiede, la possibilità di controllo su tutte le risorse del mondo, comprese quelle del creatore.

Obiettivo dichiarato è la liberazione del medioriente e la punizione dei traditori islamici.

Non c’è dubbio che nell’azione che deve mobilitare tutti i paesi e gli uomini dell’occidente, accanto all’impegno per reprimere il terrorismo, deve collocarsi anche un’azione che rimuova le ragioni che spingono tanta gente nelle file della guerra santa con la missione di uccidere e di uccidersi.

Tutte le vite sono sante.

Bisogna togliere al fondamentalismo islamico le sue ragioni di essere e solo se riusciremo a vedere il mondo come un tutt’uno, che riflette, in ogni sua parte, la totalità e rispetta le disuguaglianze come ricchezze, capiremo qual deve essere il giusto cammino della modernità.

Il terrorismo e i terroristi devono essere combattuti e repressi, ma il medioriente ed i popoli del medioriente, gli islamici, hanno bisogno di giustizia, di diritti e di dignità.