Annunciato in uscita nelle sale per il 16 gennaio scorso, il film “Anita B.” del regista Roberto Faenza, ispirato al libro Quanta stella c’è nel cielo di Edith Bruck è praticamente introvabile in quasi tutta Italia. Anche le sale che ne avevano annunciato la proiezione hanno frettolosamente cambiato programmazione.
Abbiamo chiesto direttamente al regista Roberto Faenza di spiegarci cosa sta succedendo
Gli esercenti, che di solito non vedono i film, si sono messi in testa che questo sia un film che parla dei campi di concentramento. La parola Auschwitz evidentemente fa paura. E quindi, pensando che la gente, con tutti i problemi che ha, non voglia vedere un film sui campi di concentramento, hanno deciso che è un film “a rischio”, e quindi da non programmare.
Di cosa parla invece “Anita B.”?
È un film sul “dopo”; indaga un periodo, quello immediatamente successivo alla liberazione dei Lager, che il cinema non ha quasi mai toccato. In questo senso rappresenta anche una novità. Il bello è che non è neanche un film triste; è un film pieno di vita, di speranza, di gioia di questa ragazzina che torna alla vita e vuole conquistarsi un posto nel mondo. Una storia direi costruttiva, anche e soprattutto per i ragazzi.
I quali al contrario non possono andarlo a vedere.
Sì, è così. Mi spiace – soprattutto adesso, in prossimità del giorno della memoria – che si sottragga al pubblico un’occasione originale per ricordare quei temi, che il film tratta in una maniera diversa da come il cinema ha sempre fatto. È un torto al pubblico, ma io cosa ci posso fare? Sono molto amareggiato, non lo nascondo.
Anche se parlasse dei Lager, ovviamente, un simile ostracismo preventivo non potrebbe essere giustificato.
Ci mancherebbe altro! Ma comunque si censura un film che non fa vedere i Lager, anche se ne fa parlare, naturalmente, perché nel film la ragazzina racconta quello che ha passato, e nessuno la vuole ascoltare, come effettivamente avvenne a coloro che tornavano da quell’esperienza. La verità è che capita al film nella realtà quello che nel film capita alla protagonista: parlare di certe cose sembra quasi un tabù. Questo a me appare gravissimo, soprattutto in un paese come il nostro, che ha pagato per la Resistenza, per le deportazioni.
È una cosa gravissima, tanto più in questi giorni. Stride terribilmente la contraddizione tra il fiume della retorica sulle vittime dei Lager di tante celebraziioni e la realtà concreta di un intero circuito cinematografico nazionale che censura preventivamente una pellicola proprio perché sospettata di parlare di quei Lager.
È così, molti fanno grandi discorsi, ma alla prima prova concreta…
Succede solo a Milano che il film non sia nelle sale?
No, purtroppo: il film è partito male, molto male. Non solo a Milano non c’è: non c’è in tutta la Lombardia, e in molte altre regioni. Oggi (domenica 19 gennaio, ndr) siamo presenti in tutta Italia solo in cinque città.
Pensa che la situazione potrà cambiare?
La mia speranza è che molti ragazzi vengano portati alle proiezioni speciali che stiamo organizzando per le scuole: abbiamo diverse prenotazioni in programma. Chissà, magari, se la risposta dei ragazzi sarà positiva, anche gli esercenti potranno cambiare idea. Resta un episodio gravissimo di censura preventiva messa in atto da persone che non hanno nemmeno visto il film. Gli è bastato sentire parlare di Auschwitz per fare scattare l’ostracismo.
Eppure anche sui campi nazisti ci sono stati film di grande successo, basti pensare a Schindler’s list.
Sì ma sono cambiati i tempi. E poi in quel caso parliamo di produzioni capaci di investire 50 milioni di dollari nella pubblicità. Noi non abbiamo investito neanche un euro. Quel poco di pubblicità che è uscita fin qui sui giornali l’ho pagata di tasca mia.
Così i giornali annunciano dal 16 gennaio l’uscita nelle sale di un film che invece nelle sale con c’è. È una situazione francamente assurda.
Volevo comprare una pagina su un giornale, sempre a spese mie, in cui pubblicare alcuni dei moltissimi tweet dei ragazzi che scrivono che vorrebbero vedere il film e che protestano perché nella loro città questo non è possibile. Ne abbiamo ricevuti a centinaia. Non abbiamo potuto pubblicarla perché i giornali ci hanno chiesto le liberatorie di ciascun autore di quei tweet…
E pensi che il presidente Napolitano, che il film l’ha visto, ci ha scritto che l’anteprima lo ha molto commosso. Nella sua lettera il Presidente auspica che lo possa vedere quanto più pubblico. Forse lui aveva già capito cosa sarebbe successo, e cioè che era un film che rischiava l’ostracismo.
(d.v.)