Il figlio di un ebreo francese ucciso ad Auschwitz, Michel Lévi-Leleu, ha visitato una mostra sulla Shoah a Parigi e ha visto una valigia, prestata al Memoriale dal Museo Statale di Auschwitz. Sulla valigia, ancora riconoscibilissima, il nome del padre, Pierre Lévi. Pur di rientrare in possesso di quella valigia, ultimo ricordo del padre da lui visto per l’ultima volta all’età di 4 anni, il figlio del deportato non ha esitato a fare causa al Museo di Auschwitz, che dal 1947 custodisce le memorie del più grande campo di sterminio nazista.
Sarà la magistratura francese ora, ad affrontare la delicata questione. Quella valigia, ha detto a Le Monde Teresa Swiebocka, vicedirettrice del Museo, “fa parte della storia di Auschwitz ed è una delle prove dell’Olocausto”. Il Museo ha spiegato la propria posizione ribadendo che con evidenza nessun reperto delle migliaia e migliaia conservati dal 1947 era nelle proprietà del Museo (che non esisteva, ovviamente) prima della guerra. Potenzialmente, quindi, tutto il patrimonio del Museo potrebbe domani essere rivendicato da eredi dei proprietari, col risultato di azzerare 60 anni di lavoro per documentare lo sterminio nazista.
Il caso ha sollevato molte polemiche e discussioni. In effetti in questo caso si trovano contrapposti i diritti della memoria individuale, familiare, e quelli della memoria collettiva, dell’umanità intera.
La causa ha generato un conflitto tra il Museo – dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’umanità – e gran parte del mondo vicino alla deportazione francese. A patrocinare le ragioni di Michel Lévi-Leleu in tribunale sarà infatti nientemeno che Serge Klarsfeld, uno dei maggiori studiosi della deportazione ebraica in Francia, celebre per i suoi studi sulle vittime dello sterminio e per essere stato uno dei sostenitori dell’accusa contro gli ex criminali Klaus Barbie e Maurice Papon.