INTERVENTO DI GIULIANO BANFI IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE DEL 31 OTTOBRE 2012 PER RICORDARE I DEPORTATI NE CAMPI DI STERMINIO NAZISTI.

 

Non è senza una certa emozione che mi trovo a prendere la parola, in nome dell’ANED, davanti al monumento ai deportati per ricordare i compagni caduti nei campi di sterminio nazisti e i partigiani morti in combattimento, assassinati nelle carceri e nelle città.

 

Questa cerimonia è sempre un momento importante di celebrazione, di memoria ma anche di bilanci dove si riflette collettivamente se abbiamo fatto nella nostra esistenza quanto i nostri martiri della libertà e della lotta antifascista e di liberazione dalla barbarie nazista ci hanno assegnato, col loro sacrificio consapevole, per affermare i valori e le speranze di giustizia e libertà per le quali hanno sacrificato la vita.

 

Per quanto mi riguarda il fatto che questa celebrazione si svolga davanti al monumento ai deportati mi coinvolge emotivamente in modo molto intenso perché questo monumento, recentemente restaurato e riportato alla sua straordinaria armonia e serenità dalla nuova amministrazione comunale, dopo anni di disattenzione e di colpevole incuria, e stato progettato dallo studio BBPR, fondato da mio padre Gian Luigi nel 1931 con Lodovico Belgiojoso, Enrico Peressuti ed Ernesto Rogers.

 

In questo progetto, realizzato nel ’46, sono condensate le esperienze migliori dello studio negli anni precedenti e ho sempre pensato che mio padre abbia contribuito a guidare la mano di Aurel, grazie al metodo di lavoro straordinariamente coeso dello studio, nella definizione progettuale così emotivamente rigorosa e priva di ogni retorica.

 

E’ davanti a questo monumento che mio zio Arialdo Banfi, Momi, presidente della FIR, federazione internazionale della Resistenza e vicepresidente nazionale dell’Ampi, ha commemorato la prematura scomparsa di Elena, sua moglie e donna che ho molto amato, partigiana intransigente, incarcerata a San Vittore e mitragliata incinta di mio cugino Andrea, e che in tutta la sua vita è stata sempre dalla parte giusta.

 

E’ sempre qui che ho commemorato, insieme a Maris, la mia straordinaria ed amatissima mamma Julia, che ha condiviso pienamente e alimentato tutte le scelte di impegno antifascista di mio padre, quando è mancata dopo una vita operosa dedicata a proseguire l’attività troppo presto interrotta di Giangio, lavorando nelle riviste di architettura con Ernesto Rogers, in un’amicizia fraterna ed indissolubile con Lodo e Aurel.

 

E’ ancora qui che in una cerimonia analoga a questa, di una ventina di anni fa, ho rappresentato il comune di Milano dove il cardinale Carlo Maria Martini ha pronunciato un’indimenticabile omelia sulla pace, la tolleranza, l’esecrazione della guerra e della violenza.

 

Ebbene, secondo me, questo monumento ai deportati è molto importante nella storia dell’architettura.

Alcuni storici dell’architettura hanno fatto un confronto tra questo monumento e quello delle Fosse Ardeatine.

 

Questo, stereometrico, di grande rigore intellettuale, un traliccio di acciaio quadrato, impiantato su una croce greca, molto leggero e trasparente, schermato da sottili lastre di marmo con scritte semplici e sintetiche, con l’urna contenente la zolla di terra di Mauthasen ed il filo spinato, evocativo delle inaudite sofferenze patite dai deportati è, nell’armonia raggiunta, portatore di serenità, di memoria e di speranza.

 

L’altro, il sacrario delle fosse Ardeatine, emotivamente molto forte, nella penombra delle cave di pozzolana dove avvenne l’eccidio, sono allineati, in modo ordinato per file successive che sembra non finiscano mai, sarcofagi di marmo squadrati con i nomi dei 335 civili e militari italiani compresi 12 ignoti. Il monumento è fortemente evocativo, struggente, commovente e coinvolgente, facilmente comprensibile a tutti, quasi popolare per l’utilizzazione di stilemi consolidati nella tradizione monumentale.

Non altrettanto questo, a cui siamo di fronte, che fa leva su elementi di riflessione sottili, che richiama a equilibri spaziali, a una euritmia di rapporti tra le parti, che con la gabbia d’acciaio evocano la costrizione dei lagher, ma, contemporaneamente, suggerisce la trasparenza della libertà e della prospettiva primigenia delle forme semplici e dell’assenza di retorica.

Penso che questi due monumenti rappresentino due facce complementari dell’antifascismo, della resistenza e della lotta di liberazione e delle motivazioni profonde dei suoi protagonisti. Questo l’intelligenza, la capacità di rappresentazione del momento storico nella cultura e nell’arte, i valori sostanziali ed ideali che hanno presieduto alle scelte politiche e di civiltà per ingaggiarsi nella lotta antifascista. L’altro fa appello al sentimento, all’esecrazione dell’ingiustizia di un eccidio barbaro, crudele, immotivato, rispetto a civili estranei alla lotta antifascista e antinazista, e conferma sentimenti di grande mobilitazione, di orgoglio di riscatto nazionale nei confronti dell’occupazione nazista.

 

L’ANED ha celebrato, qui a Milano, pochi giorni fa, il proprio congresso nazionale dove sono state assunte importanti decisioni per la continuità e lo sviluppo delle iniziative dell’associazione.

 

Il congresso è stato aperto da un lungo ed argomentato messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano; messaggio tutt’altro che formale in cui il Presidente richiede un impegno ulteriore dell’Associazione per consolidare la memoria storica della deportazione politica, per sviluppare un ruolo fondamentale nella lotta alla falsificazione della storia, al revisionismo becero, a tutte le forme, violente od occulte, di negazionismo e di attentato alla costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza, confermando all’Aned l’autorità morale per essere in prima fila in questo confronto reale per non dimenticare, ma per costruire il futuro con passione democratica in rigorosa coerenza col progetto costituzionale.

 

Un altro contributo importante, fra gli alti che abbiamo sentito non meno significativi, che mi molto colpito è stato quello di Modio Ovadia che ha ricordato una considerazione di padre Maria Turoldo in occasione di una discussione pubblica sulla pacificazione del paese tra antifascisti resistenti e fascisti combattenti e alleati dei nazisti, al fine di costruire una memoria nazionale condivisa. Padre Turoldo distingueva l’esigenza di onorare e rispettare i caduti e i morti di tutte parti, ma dichiarava l’impossibilità di condividere una memoria uguale tra coloro che sono caduti lottando per “odio”, odio contro i diversi, odio contro la libertà, odio contro la razza, per l’autoritarismo, contro la democrazia imbelle, contro la cultura degenerata. Dall’altra parte, la nostra, vi è la memoria di quelli che sono morti per “amore”, amore di libertà, di giustizia, di uguaglianza, di fraternità, di tutela delle diversità e dei diritti delle donne e degli uomini, di qualunque colore, razza e religione.

 

Se saremo capaci di sviluppare questo programma di attività, quell’esame di coscienza che tutte le volte che celebriamo il ricordo dei nostri caduti per amore, per usate le parole di padre Turoldo, in volontà unitaria e solidale, penso continueremo ad esercitare in modo proficuo l’autorità morale che tutti ci riconoscono.

 

Vi è un altro aspetto che è emerso fortemente dal congresso, quello del valore dell’unita antifascista e della difesa e completa attuazione del progetto di società sancito dalla nostra costituzione repubblicana, nata dalla resistenza.

 

L’Aned fondata dai sopravissuti della deportazione politica e razziale non si è mai divisa a differenza di altre organizzazioni partigiane, sindacali o politiche. Penso che questa unità sostanziale sia conseguenza delle sofferenze tragiche che hanno dovuto sopportare nei lagher tutti i deportati, quelli che sono morti e i sopravissuti. Per cui le ragioni di unità, di fratellanza e di solidarietà nel ricordo e nella memoria siano state cosi stringenti da superare divisioni che potevano indebolire la lotta perché l’umanità non dovesse ripetere ed affrontare tragiche esperienze come quelle vissute nei campi di sterminio.

 

In questo quadro l’approfondimento dell’indagine storica sulla deportazione si è incrementato considerevolmente in questi anni anche recenti, valorizzando apporti significativi delle varie componenti politiche, ideologiche, culturali ed umane, mettendo in luce contributi a questa unità di popolo che, nella dialettica anche aspra della lotta politica, ha saputo trovare soluzioni unitarie per raggiungere gli obiettivi prefissi.

Abbiamo perciò il compito di trasmettere nelle scuole e alle nuove generazioni come fondamento del diritto di cittadinanza la storia vera della lotta antifascista, della resistenza, della lotta di liberazione dalla barbara occupazione nazista dell’Italia della memoria viva dei nostri caduti per costruire un futuro degno dei sacrifici patiti.

ONORE A TUTTI I DEPORTATI. VIVA LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA NATA DALLA RESISTENZA