Parlando al Quirinale in occasione del Giorno della Memoria 2011, il Presidente Napolitano ha citato anche l’esperienza di Gianfranco Maris, deportato a Mauthausen. Questo il testo integrale del suo discorso, tratto dal sito del Quirinale.
Nell’ascoltare il discorso del Professor Galasso – cui siamo, credo, tutti grati per il rigoroso e ispirato contributo che ci ha offerto per questo “Giorno della Memoria” – nel sentir da lui rievocare gli “spiriti liberali e democratici”, le “convinzioni laiche e moderne”, l’adesione ai principi di libertà, indipendenza e autodeterminazione dei popoli, che motivarono gli ebrei patrioti risorgimentali, mi dicevo che a quella schiera avrebbe ben potuto appartenere e potrebbe idealmente ben affiancarsi Tullia Zevi, la sua personalità, la sua storia, il suo impegno. E valgano queste mie parole come omaggio alla cara grande amica che abbiamo perduto e che non dimenticheremo.
Quel che ci ha detto l’amico Galasso ci conferma nel convincimento che il 150° anniversario dell’Unità d’Italia sia un’occasione preziosa, da non perdere – e per fortuna : o meglio, per volontà sempre più diffusa, non sarà commesso l’assurdo errore di perderla – per richiamare alla nostra memoria, all’attenzione delle giovani generazioni e alla coscienza collettiva della nazione, quel “da dove veniamo” che è premessa di ogni slancio verso il futuro di una società ricca di storia.
La ricchezza, appunto, della nostra storia è fatta anche di apporti peculiari, come quello degli ebrei italiani al movimento per l’Unità e alla costruzione dello Stato unitario. Sentimento nazionale italiano e coscienza ebraica, “rinascimento dell’Italia” e “rinascimento della Giudea” – secondo le parole di Moses Hess nel suo “Roma e Gerusalemme” – non si ponevano in termini di reciproca esclusione, e nulla poteva motivare – se non un cieco razzismo persecutorio – la espulsione decretata dal fascismo degli ebrei e delle loro comunità dal consorzio civile italiano, da ogni residua garanzia di diritti basilari.
Perciò è così importante che in questi ultimi anni si siano riaccesi i riflettori sulle aberranti leggi del 1938 : che se ne sia fatto un tema di severa rievocazione e denuncia, specie tra i giovani e nelle scuole. E in generale non si può mai apprezzare abbastanza l’impegno ormai costante, e sempre più diffuso, a promuovere in ogni grado del sistema scolastico – ne va dato merito al Ministero dell’Istruzione e a tanti capi d’Istituto e docenti – lo studio e l’approfondimento della mostruosa vicenda della Shoah, delle premesse e delle componenti di un aberrante iter ideologico e politico che approdò a quello spaventoso esito di sterminio di inermi innocenti. Perché conta sapere e ricordare non solo cosa accadde ma come ci si arrivò.
Il cosa accadde è raccontato o ricostruito grazie al moltiplicarsi di contributi di memoria e di indagine storica. C’è stata in questi anni, da ultimo nel 2010, e in tal senso ha operato anche lo stimolo delle celebrazioni del 27 gennaio, una fioritura – possiamo dire, penso che gli amici delle Comunità ebraiche converranno – di pubblicazioni di grande interesse e forza comunicativa. Le più diverse : ad esempio, quella assai recente sulla ricerca, che è stata da alcuni compiuta, dei Giusti d’Italia rimasti sconosciuti, non fattisi avanti per modestia e pudore. Eppure – ha scritto Denise Epstein – “i Giusti hanno diritto al nostro amore non meno dei nostri morti”.
Denise Epstein è la figlia maggiore di Irene Nemirovsky, grande scrittrice rivelata al pubblico italiano dall’editore Adelphi. Il libro della Epstein pubblicato nell’aprile scorso offre il quadro della tragedia della madre e sua, dei genitori – ebrei russi che vivevano in Francia – e dei ragazzi, lei e la sorella più piccola. Videro la madre portata via brutalmente dalla Gestapo, scomparire in pochi minuti e per sempre nel nulla il 13 luglio 1942 – sarebbe stata uccisa ad Auschwitz – e poi il padre egualmente arrestato e deportato, anche lui condannato a non tornare. Ma insieme con la tragedia dei genitori, l’odissea delle due bambine, della loro fuga disperata, braccate dalla polizia francese e dalla Gestapo, della paura e della fame, dell’estremo rifugio in un povero convitto di suore. E di lì il trauma sconvolgente – di “enfants cachés” – che non le avrebbe più abbandonate per tutta la vita.
Ancora in questi giorni abbiamo letto ricordi angosciosi di deportati.italiani nei campi nazisti, salvatisi sopravvivendo a prove terribili: da ultimo quelli di Gianfranco Maris deportato a Mauthausen. Ai deportati e internati in quei campi abbiamo reso omaggio con i riconoscimenti consegnati dal Sottosegretario Letta.
Ma come si arrivò a tanto? Per l’estrema, criminale degenerazione del totalitarismo nazista (e orrende degenerazioni conobbe anche l’altro totalitarismo del ‘900, quello sovietico). Ma dobbiamo sapere che il primo seme avvelenato, il primo germe distruttivo fu ed è quello dell’intolleranza, del nazionalismo e del populismo che si traducono in demonizzazione e odio del diverso e dello straniero (abbiamo sentito poco fa rievocare anche la persecuzione contro i Rom e i Sinti). E allora, attenzione, vigilanza e pronte reazioni dovunque quel germe si manifesti e in qualsiasi forma, anche in paesi che si sono dati dichiarazioni di principi e Costituzioni democratiche.
I principi debbono farsi vivere, debbono sempre richiamarsi perché siano pienamente rispettati.
Ragazzi che oggi venite premiati, ragazzi che sulla storia di un passato non poi così lontano, da studiare e ricordare senza mai stancarcene, e sui principi da affermare e riaffermare nel presente, vi impegnate e discutete con ricerche, componimenti, seminari, viaggi della memoria e sempre nuovi progetti, è in voi, è nelle vostre generazioni che noi riponiamo la nostra fiducia in un futuro libero dagli spettri e dalle insidie del razzismo, dell’antisemitismo, dell’intolleranza.
E al di là di quello che voi rappresentate per l’Italia, e tanti come voi rappresentano per altri paesi d’Europa e non soltanto d’Europa, il nostro auspicio è che anche in terra d’Israele e in quella tormentata regione possa finalmente costruirsi un avvenire di convivenza pacifica e serena, senza pregiudizi e contrapposizioni fatali.
Arrivederci al 27 gennaio 2012.