Regia: Mimmo Calopresti
Persone intervistate: Andra (Alessandra) Bucci, Esterina Calò Di Veroli, Nedo Fiano, Luciana Momigliano Nissim

Produzione: Israele/Italia/Svizzera 2005
Durata: 75’

Locandina: Volevo solo vivereStraziante, eppure a ciglio asciutto. «Da Auschwitz si esce con le gambe ma vi si resta col cuore. Noi siamo sempre là». Lo sussurra, con la voce appena incrinata dall’emozione, Nedo Fiano, fiorentino ma milanese d’adozione: aveva 18 anni quando fu deportato nel lager nazista assieme alla fa miglia. Tutti uccisi, tranne lui, detenuto numero A5405.

Parlava bene il tedesco, la lingua degli aguzzini, e quel “dono” gli salvò la vita. Fiano è uno dei nove ebrei sopravvissuti, due dei quali nel frattempo scomparsi, che animano con le loro umanissime testimonianze “Volevo solo vivere”, documentario realizzato da Mimmo Calopresti per conto dello Shoah Foundation Institute for Visual History and Education. Insomma, per Spielberg. Settantacinque minuti lucidi e intensi, senz’ombra di retorica, con qualche tocco di commossa dolcezza. Giustamente nessuno ha applaudito, ieri mattina, al termine della proiezione stampa. Per la pena, il disagio, la vergogna.

Mischiando immagini provenienti da una decina di archivi, fotografie in bianco e nero e interviste a colori, il regista di “La seconda volta” si è messo rigorosamente al servizio dell’intento didattico-pedagogico caro all’autore di “Schindler’s List”. Non è stato facile scegliere le storie. Per due anni i Calopresti ha visionato le interviste in lingua italiana, oltre quattrocento, raccolte tra il 1998 e il 1999 dai ricercatori dello Shoah Foundation Institute, per arrivare a isolarne nove, appunto: quattro uomini e cinque donne scampati allo sterminio. Spiega il regista: «Nei miei film, qualche volta, racconto presuntuosamente me stesso. Stavolta ho solo dovuto ascoltare, facendo un lavoro modesto, e credo mi sia stato utile».

In realtà il montaggio del materiale, il dosaggio delle musiche, la selezione dei brani, fanno di “Volevo solo vivere” un documentario più toccante e personale di quanto Calopresti voglia far intendere.

Michele Anselmi