Regia: Andrej Končalovskij
Interpreti: Yuliya Vysotskaya, Christian Clauss, Philippe Duquesne, Victor Sukhorukov, Peter Kurt
Produzione: DRIFE Productions, Production Center of Andrej Končalovskij
Sceneggiatura: Andrej Končalovskij
Fotografia: Aleksandr Simonov
Musiche: Hans Zimmer
Anno: 2016
Durata: 130′ (B/N)
Note: Non bisogna prendere alla lettera il titolo del nuovo film di Andrej Končalovskij, regista russo capace ogni volta di sorprendere e rinnovarsi. Premiato alla 73ª Mostra di Venezia con un ex-aequo che grida vendetta, perché meritava di più, il quasi ottantenne cineasta spiega così il suo “Paradise”: «Il film riflette su un ventesimo secolo carico di grande illusioni sepolte sotto le rovine, sui pericoli della retorica dell’odio, sul bisogno degli esseri umani di usare la potenza dell’amore per trionfare sul male». Vedendo il film si capisce meglio il senso della cupa allegoria girata in bianco nero, con formato quasi quadrato, dedicata ai russi che contribuirono a salvare la vita di tanti ebrei.
Sì, perché “Paradiso” ci riporta negli anni atroci della Seconda guerra mondiale, cucendo insieme le vicende di tre personaggi uniti dal caso. Paul è un ipocrita poliziotto collaborazionista nella Francia occupata dai nazisti; Olga è una principessa russa arrestata a Parigi per aver cercato di nascondere due bambini ebrei; Helmut è un alto ufficiale nazista delle SS che teorizza la cosiddetta Soluzione finale. Končalovskij li presenta separatamente, quasi fossero sottoposti a una sorta di interrogatorio filmato da una cinepresa. Indossano tutti e tre la stessa camicia, il montaggio delle testimonianze è volutamente sconnesso, si pensa ad un possibile processo per colpe da scontare. Non è così, siamo da un’altra parte, tra le anime trapassate, come presto capiremo seguendo le tragiche vicende che legano i loro destini tra il 1942 e il 1945.
“Paradise” svela un po’ alla volta, per antifrasi, il titolo che propone, addirittura ricorrendo a frammenti della “Divina Commedia”, ma alla voce Inferno, III canto. «Lasciate ogne speranza, o voi ch’intrate» sentiamo infatti scandire in italiano quando ormai l’azione s’è spostata dentro un lager nazista. Dove arriva destinata alle camere a gas, dopo aver provato a sedurre lo sbirro francese, la principessa russa: un tempo bella e sessualmente spregiudicata, oggi smagrita e ridotta a succhiare la brodaglia come un animale. Lì Olga ritrova Helmut, il tedesco che la corteggiò dieci anni prima in una gioiosa residenza toscana sul mare, ballando al suono di “Parlami d’amore Mariù”. Allora il giovanotto aristocratico parlava il russo e leggeva Checov, adesso è uno zelante esecutore delle direttive hitleriane.
Si può discutere la scelta di riprodurre la “vita” nel lager secondo moduli estetici già ampiamente consumati (e comunque inadeguati rispetto alla sostanza atroce della Shoah); tuttavia Končalovskij imbastisce una storia universale, di forte caratura metaforica e insieme suggestiva nel ritrarre miserie e grandezze, viltà e trasalimenti dei tre personaggi. Resi con ammirevole bravura dalla russa Julia Vysotskaya, dal francese Philippe Duquesne e dal tedesco Christian Clauss.
Michele Anselmi