Regia: Francesco Patierno
Voci narranti: Benedict Cumberbatch (versione inglese), Adriano Giannini (versione italiana)
Sceneggiatura: Francesco Patierno, dall’omonimo libro di Norman Lewis
Fotografia: Giovanni Troilo
Montaggio: Maria Fantastica Valmori
Musica: Andrea Guerra
Durata: 80′ Italia, 2016
Graham Greene considerava Norman Lewis «uno dei maggiori scrittori inglesi del XX secolo». Magari esagerava. Ma non troppo. Pubblicato in Italia da Adelphi solo nel 1993, “Napoli ‘44” non è un romanzo vero e proprio, nasce come diario di guerra, vergato in prima persona dallo stesso Lewis, all’epoca ufficiale del Field Security Service aggregato alla V Armata statunitense. E tuttavia, a leggerlo (o rileggerlo) nella fresca traduzione di Matteo Codignola, emerge tutta la densità, anche romanzesca, sia pure infissa nella carne viva di un reportage in presa diretta, di uno stile formidabile, da grande memorialista.
Bene ha fatto il regista Francesco Patierno, napoletano, 52 anni, a portare sullo schermo in forma di documentario sui generis questo piccolo capolavoro letterario nel quale Lewis raccontò, rubiamo dalle note di copertina del libro, «la Napoli turbolenta delle “segnorine” e dei militari alleati, degli sciuscià e del mercato nero». Soprattutto, viene da aggiungere, l’infinita pazienza di un popolo liberato dagli anglo-americani e tuttavia condannato – perché così va quasi sempre con la guerra – a mesi di fame, sete, stenti, malattie, umiliazioni, vergogne, prostituzione diffusa, ulteriori morti per bombe a scoppio ritardato piazzate dai tedeschi, perfino l’eruzione del Vesuvio.
L’elemento di finzione escogitato da Patierno è una sorta di cornice: si immagina che un anziano Norman Lewis (in realtà lo scrittore è morto nel 2003) torni nei luoghi partenopei della sua gioventù per una sorta di affettuoso pellegrinaggio, tra nostalgia e memoria. Napoli è molto cambiata rispetto a quel 1944, grazie a Dio, e a mano a mano che l’incuriosito “englishman abroad” riprende confidenza con strade, palazzi, cortili, lungomari, il film immerge lo spettatore nei mesi terribili della post-liberazione.
«Napoli odora di legno bagnato» annota la voce narrante di Benedict Cumberbatch (nella versione italiana Adriano Giannini), e naturalmente sono alcuni brani del libro a commentare le immagini in un gioco di specchi perlopiù riuscito. Patierno intreccia brevi scene con attori girate per l’occasione, straordinario materiale proveniente dagli archivi e sequenze di film variamente sul tema (da “La pelle” a “Sciuscià”, da “Le quattro giornate di Napoli” a “Il re di Poggioreale”). Ne esce un ritratto, interessante anche sul piano antropologico, all’insegna di un palpito intimista venato di malinconia e rimpianto.
Vincente Lattarullo, un avvocaticchio sempre affamato, costretto a travestirsi da “zio di Roma” ai funerali per tirar su qualche soldo o provvista, fu davvero l’amico più caro di Lewis, il suo alter-ego: il libro spende pagine divertenti nella descrizione dell’uomo, il film lo associa a un buffo/patetico personaggio interpretato da Totò in “Napoli milionaria” di Eduardo De Filippo.
Il 24 ottobre del 1944 Norman Lewis ricevette l’ordine di partire per Taranto, da lì si sarebbe imbarcato sulla “Reina del Pacifico” diretta a Port Said. Un fulmine a ciel sereno. Leggiamo nell’epilogo del libro: «Per l’ultima volta guardo negli occhi le enormi, enigmatiche statue di donne ai lati dell’ingresso di Palazzo Calabritto, e poi giù nel cortile, dove un bambino sta facendo pipì nelle fauci di un leone di pietra». Bello, no?
Michele Anselmi