Regia: Costa-Gavras
Interpreti: Jessica Lange, Armin Müller-Stahl, Frederic Forrest, Lukas Haas
Sceneggiatura: Joe Eszterhas
Produzione: Usa, 1989
Durata: 124 minuti.
Vinse l’Orso d’oro a Berlino, nel 1990, “Music Box”, in Italia uscito col sottotitolo “Prova d’accusa”, probabilmente per renderlo un po’ più poliziesco e processuale. È uno di quei film che resistono all’usura del tempo, perché magnificamente recitato e perché il tema di fondo ha molto a che fare con la natura umana. Conosciamo davvero chi pensiamo di amare? Un genitore, anche il più premuroso e affettuoso, può nascondere segreti indicibili? Che cosa succede quando un figlio o una figlia scoprono la verità?
Ricorderete forse la vicenda. Mike Laszlo, cittadino ungherese naturalizzato americano, padre e cittadino esemplare, viene accusato di essere un criminale di guerra nazista dal governo degli Stati Uniti che minaccia di rispedirlo nell’Ungheria comunista, dove verrebbe giustiziato. La figlia Ann Talbot, affermata avvocata di Chicago, decide di difenderlo, sicura della sua innocenza.
Ispirato ad un fatto reale, ovvero il processo a John Demjanuk, un immigrato ucraino di Cleveland che si rivelò essere il famigerato “boia di Sobibor”, complice del massacro di 28.000 ebrei durante la Seconda guerra mondiale, “Music Box” unisce dramma giudiziario, thriller fosco e melodramma familiare in un film di profonda densità emotiva.
Si può discutere, sul piano prettamente storico, se le cosiddette Croci Frecciate (Nyilaskereszt) siano state «uno squadrone della morte ungherese organizzato dalle SS tedesche», come sentiamo dire nel film. In realtà furono un vero e proprio partito politico di ispirazione nazi-fascista sorto in Ungheria negli anni Trenta per volontà di Ferenc Szálasi, un capitano di stato maggiore vicino a Gyula Gömbös, primo ministro dal 1932 e fautore della fascistizzazione dell’Ungheria. Di sicuro Hitler guardò con estrema simpatia il movimento, al punto da mettere Szálasi a capo del governo di Budapest, nel 1944, dopo l’incarcerazione del reggente Miklos Horty, colpevole di aver provato a negoziare un armistizio separato con l’Urss.
Come ricorda il critico Gabriele Repaci, lo sceneggiatore Joe Eszterhas partì, nello scrivere il copione, da una vicenda dolorosamente personale: aver scoperto che il padre, il conte István Esterházy, era stato membro di spicco delle Croci Frecciate ungheresi.
Tutto questo torna, in un clima sempre più inquietante e minaccioso che culmina in un rivelatore pellegrinaggio in Ungheria, nel film di Costa-Gavras, di sicuro tra i suoi più riusciti e tesi, anche per la prova degli interpreti. Quasi un match tra il padre Mike, interpretato dal tedesco Armin Müller-Stahl, all’apparenza nonno e padre affettuoso, ben inserito nella comunità americana, e la figlia Ann, resa con magistrale finezza da Jessica Lange, sempre più incredula di fronte agli orrori che emergono dal passato.
Michele Anselmi