Regia: Mick Jackson
Interpreti: Rachel Weisz, Tom Wilkinson, Timothy Spall, Andrew Scott, Jack Lowden, Caren Pistorius, Alex Jennings, Harriet Walter, Mark Gatiss, John Sessions
Sceneggiatura: David Hare
Fotografia: Haris Zambarloukos
Montaggio: Justine Wright
Musiche: Howard Shore
Produzione: BBC Films, Krasnoff / Foster Entertainment, Participant, USA, Gran Bretagna
Ecco un film assolutamente da vedere. Passato in anteprima alla Festa di Roma e nelle sale dal 17 novembre 2016, “La verità negata” (“Denial”) possiede la forza della denuncia, la delicatezza della compassione, l’accuratezza della ricostruzione. Il britannico Mick Jackson è lo stesso che nel 1992 firmò il blockbuster “Guardia del corpo” con Kevin Costner e Whitney Houston, poi ha fatto molta tv in patria, ed eccolo tornare sul grande schermo con un film processuale ispirato a una storia vera. Verissima, purtroppo.
Avete in mente il sedicente storico David Irving, l’inglese razzista e antisemita che costruì una fortuna editoriale sul “negazionismo”, cioè contestando alla radice l’esistenza dei campi di sterminio nazisti con frasi del tipo «un mito inventato dal popolo israeliano»? Un tipaccio revisionista, esperto nel manipolare le prove e distorcere i fatti nel proposito di riabilitare l’ammirato Adolf Hitler, al quale pure molti diedero ascolto, in patria e all’estero. Nel 1996, sentendosi calunniato da un libro della storica ebreo-americana Deborah Lipstadt, intitolato “Denying the Holocaust: The Growing Assault on Truth and Memory”, Irving citò la scrittrice in giudizio, e con lei la casa editrice Penguin Books.
Il processo si tenne a Londra, a partire dal gennaio 2000, per 32 sedute, fino al verdetto emesso dal giudice unico Charles Grey l’11 aprile di quello stesso anno. Il paradosso sta tutto qui: nel sistema legale britannico l’onere della prova spetta all’imputato, sicché fu Lipstadt a doversi difendere dalle “accuse” di Irving.
È un grande film, “La verità negata”, perché svela, con la precisione dei fatti e la potenza della messa in scena, il vero intento dello storico negazionista: trasformare quel processo per calunnia in una sorta di processo all’Olocausto, in modo di amplificare in chiave planetarie le proprie “tesi” aberranti.
Nel rielaborare per lo schermo il libro che la professoressa americana scrisse sulla vicenda, e che uscirà il 15 novembre per Mondadori col titolo del film, il drammaturgo David Hare congegna una sceneggiatura a orologeria, per ricchezza di spunti e quesiti morali. Gli attori fanno il resto, producendosi in una prova di concentrata bravura: Rachel Weisz, Timothy Spall, Tom Wilkinson e Andrew Scott, rispettivamente nei panni di Lipstadt, Irving e i due avvocati difensori che sposano la causa.
Il film è sottile e appassionante; la visita ad Auschwitz, per recuperare prove da esibire in aula, è condotta sul filo di una commozione tenuta sobriamente sotto controllo; e la protesta silenziosa dei sopravvissuti, non chiamati a testimoniare per evitare show umilianti a vantaggio di Irving, alla fine bene spiega il sottotitolo italiano, che recita «A volte è necessario rimanere in silenzio per far sentire la propria voce». Specie in Gran Bretagna.
Per la cronaca: nel 2001 David Irving fece ricorso contro la sentenza, la sua domanda fu rifiutata, un anno dopo lo “storico” dichiarò fallimento.
Michele Anselmi