Regia: Roberto Faenza
Interpreti: Luke Petterson, Jenner Del Vecchio, Jean-Hugues Anglade, Juliet Aubrey, Francesca De Sapio
Musiche: Ennio Morricone.
Produzione: Italia-Francia, 1993 (90 minuti)
Jona Oberski, olandese, classe 1938, ebreo, è ancora vivo. Un sopravvissuto ai campi di concentramento (non di sterminio) nazisti. Da un suo toccante romanzo autobiografico, intitolato “Anni d’infanzia”, Roberto Faenza trasse nel 1993 forse il più bello dei suoi film, ribattezzato biblicamente “Jona che visse nella balena”. Non ebbe grande successo in sala e passa raramente in tv. Eppure Faenza seppe manovrare la densa e tragica materia con pudore, senza nascondere nulla, ma assumendo con viva sensibilità lo sguardo e la voce del giovanissimo protagonista.
Già perché ha solo quattro anni Jona, nel 1942, quando viene strappato al suo mondo di gioco per essere internato insieme ai genitori in diversi lager, finendo a Bergen Belsen. Amsterdam diventa subito un ricordo. Gettato tra i reticolati, il bimbo impara a sopravvivere in quella realtà feroce con lo sgomento attonito di chi è costretto dalla vita a diventare grande in fretta. Quella prigione diventa per lui un ambiente quasi normale, il solo mondo che conosce e nel quale si compiono le sue prime, drammatiche, esperienze.
Gli Oberski sono destinati a passare da un campo di smistamento all’altro, per essere poi scambiati con prigionieri germanici. A 7 anni Jona ha già vissuto freddo, fame, paure e sofferenze, ma se non altro continua ad avere accanto, sia pure in baracche diverse, i suoi amati genitori.
“Jona che visse nella balena” è una sorta di romanzo di formazione, anche se in condizione terribili, impervie, tra angherie e minacce, mentre la situazione sembra precipitare e rari sono i gesti gentili (un anziano cuoco, il medico dell’ambulatorio). Il padre morirà stremato nel fisico, la mamma finirà malata di mente in un ospedale sovietico. Sarà una matura coppia di Amsterdam, dopo la fine della guerra, ad accoglierlo in famiglia, a ridargli la forza di vivere e sorridere.
“Non odiare nessuno” sussurra la madre in sottofinale al piccolo Jona, e in buona misura questo è il senso del film, asciutto e intenso, apprezzato dallo stesso protagonista della vicenda, poi diventato, crescendo, un fisico importante. Scrisse bene, all’epoca, Tullio Kezich: «Se non conoscete ancora il libro straordinario e dolente di Oberski procuratevelo subito, leggetelo e collocatelo sullo scaffale accanto a “Il diario di Anna Frank”. Infatti le due testimonianze sono parallele nel tempo e nello spazio. La ragazzina morì a Bergen Belsen, dove il bambino passò il periodo più duro della prigionia; e poi Anna e Jona hanno in comune l’intangibile freschezza dello sguardo infantile che si posa su persone ed eventi».
Luke Petterson e Jenner Del Vecchio sono i due giovani interpreti chiamati a incarnare Jona a 4 e 7 anni, mentre Jean-Hugues Anglade e Juliet Aubrey sono i genitori destinati a una tragica fine. Domanda alla Rai: perché non lo ritira mai fuori, neanche in prossimità del Giorno della Memoria?
Michele Anselmi