Regia: Edward Zwick

Interpreti: Daniel Craig, Liev Schreiber, Jamie Bell, Tomas Arana
Sceneggiatura: Clayton Frohman ed Edward Zwick
Produzione: Usa, 2008 (137 minuti)

Decisamente Tuvia Bielski e i suoi fratelli non erano ebrei remissivi, di quelli che il cinema sulla Shoah di solito racconta. Sfuggiti a un rastrellamento nell’inverno del 1941, imbracciarono le armi trasformandosi in ebrei combattenti, tosti e determinati, pronti a prendersi la loro vendetta: vivere. Storia ignota ai più, “Defiance. I giorni del coraggio” non è stato un successo commerciale; e certo non è piaciuto a chi, vedendo tutto alla luce del conflitto israelo-palestinese, scrisse all’uscita del film, nel 2008, che “enfatizzando quanto accadde ieri si minimizza quanto accade oggi” (il riferimento era all’operazione militare  “Piombo fuso”).

Sciocchezze. L’hollywoodiano Edward Zwick, nella sua interessante carriera, ha volentieri mischiato storia e spettacolo, rovesciando qualche luogo comune. In fondo il suo notevole “Glory” fu il primo a spiegare la Guerra civile americana dal punto di vista dei soldati neri mandati al macello nelle file dell’esercito nordista. La novità di “Defiance” sta nella presenza di Daniel Craig. Sì, l’attuale 007, più tosto e macho che mai, qui nei panni di un ebreo polacco, Tuvia Bielski, deciso a vender cara la pelle, insieme ai fratelli Zus e Asael, nei giorni atroci della caccia al “giudeo” scatenata dai nazisti.

Giaccone di pelle, mitra e Luger rubati ai nazisti, il novello Mosé  guidò la sua gente nei boschi ai confini tra Polonia e Bielorussia. Figlio di un mugnaio, quasi analfabeta, riuscì a far scappare centinaia di ebrei del ghetto di Novogrudok, a salvarli dando vita a una sorta di kibbutz primordiale, dotato di baracche, scuole e ospedali, nel gelo di quelle foreste.

Il film, epico e avventuroso, immerso in tinte livide a ricostruire il freddo e gli stenti, forse non è tra i migliori di Zwick. Craig fa di Tuvia un “eroe per caso”, anche vulnerabile, a un passo dal cedimento fisico, a tratti tormentato, e tuttavia capace di sparare e tenere insieme la comunità. È lui, come si diceva, il leader che guida la sua gente, duro ma anche saggio, destinato a scontrarsi col fratello Zus ( Liev Schreiber). Sempre pronto a menare le mani per prendersi la sua vendetta, Zus si unisce ai russi, salvo poi riavvicinarsi alla comunità degli “uomini dei boschi” dopo aver sperimentato sulla propria pelle l’antisemitismo diffuso anche nell’Armata Rossa.

Disse Zwick in un’intervista: “Qualcuno dirà che il nostro film sembra un western sull’Olocausto, ma nulla è stato inventato”. Aggiunse il suo sceneggiatore Clayton Frohman: “Sono cresciuto nella tradizione ebraica, mio padre ha fatto la Seconda guerra mondiale,  la storia a lungo oscura dei fratelli Bielski mi ha sempre affascinato”.

Sì, perché il film, epico e avventuroso dentro una luce livida, racconta l’incredibile sfida che i “Bielski partisan” lanciarono all’esercito tedesco: sfuggendo ai rastrellamenti, recuperando i sopravvissuti, guidando quella comunità dentro il bosco in una sorta di biblico cammino. Pensate: in 1.200 vissero per anni nella foresta, costruendo una sorta di comunità primordiale dotata di baracche e ospedali da campo.

Michele Anselmi