(Wuppertal 1886 – Roma 1978) – Nell’aprile del 1933 arriva una lettera “speciale” alla Cancelleria del Führer a Monaco in Germania. A scriverla è Armin T. Wegner; laureato in diritto, poeta, scrittore, giornalista, discendente di una famiglia di rigide tradizioni prussiane, sposato con la scrittrice ebrea Lola Landau. Lo stesso uomo che nel 1915, di stanza in Armenia come ufficiale medico, assiste alle deportazioni e ai massacri che il partito dei Giovani Turchi e le sue milizie stanno perpetrando ai danni del popolo armeno e che decide di testimoniare fotografando quello che vede, di imprimere sulla pellicola gli occhi scavati dei deportati, le bocche che invocano pietà al loro Dio, gli sguardi terrorizzati e spenti di chi non spera più e aspetta solo la morte, raccolti in piccole carovane, disperse nel deserto, a morire di stenti, di arsura, di fame, di torture.
Scrive, tra i pochissimi intellettuali tedeschi ad avere il coraggio di dare voce alla propria indignazione per il folle piano che Hitler sta organizzando indisturbato di fronte alla sua nazione e all’Europa intera che resta a guardare. Queste le sue parole: “…Signor Cancelliere del Reich, non si tratta solo del destino dei nostri fratelli Ebrei. Si tratta del destino dell’intera Germania! In nome di quel popolo per il quale ho il diritto non meno che il dovere di parlare, come qualsiasi altro che viene dal suo sangue, come tedesco a cui non è stato dato il dono della parola per rendersi complice col silenzio quando il suo cuore freme di sdegno, mi rivolgo a Lei: fermate tutto questo!
L’ebraismo è sopravvissuto alla prigionia babilonese, alla schiavitù in Egitto, ai tribunali dell’Inquisizione spagnola, alla calamità delle Crociate e alle persecuzioni del Seicento in Russia, con la tenacia che ha permesso a questo popolo di diventare antico gli Ebrei riusciranno a superare anche questo pericolo, ma la vergogna e la sciagura che a causa di ciò si abbatterà sulla Germania non saranno dimenticate per lungo tempo! Infatti, su chi cadrà un giorno lo stesso colpo che ora si vuole assestare agli Ebrei, se non su noi stessi?” (Armin T. Wegner e gli Armeni in Anatolia, 1915, Guerini e Associati, Milano 1996).
Alla lettera fu data sollecita risposta: Wegner fu arrestato dalla Polizia segreta a Berlino, torturato e imprigionato in diversi campi di concentramento; una volta libero venne in Italia dove vivrà fino a spegnersi nel 1978 a Roma, all’età di 92 anni. I tedeschi avevano cercato di zittire quella voce e quella coscienza, senza riuscirci.
Non c’è un credo ideologico, politico, o religioso in grado di spiegare il perché di certi gesti. A muovere Wegner è stata “solo” la sua coscienza di uomo uguale a tanti altri, e proprio in questa semplice uguaglianza ha trovato la forza di agire: riconoscendo le grida di dolore, le richieste d’aiuto, le umiliazioni subite, il richiamo dell’umanità e della dignità che accomuna ogni essere vivente.
Giovanna Crestani