di Italo Tibaldi

Questa “lista”, nata nel lontano 1955 e tuttora incompleta, è il risultato temporaneo dell’attenta consultazione delle fonti rintracciabili, nazionali ed estere, riferite ai campi di sterminio e di eliminazione nazisti ed alla deportazione italiana nei Lager negli anni 1943-1944-1945.

Dopo oltre mezzo secolo da quell’avvenimento vuole essere ancora una testimonianza individuale documentata; ognuno con gli elementi anagrafici che nella vita lo identificano e la sua matricola di deportato che lo contraddistingue nel Lager e, quando possibile, con qualche annotazione che consenta di ricostruire il suo percorso, per giungere quindi ad una testimonianza collettiva nella ricostruzione dei trasporti, con la loro motivazione politica e razziale, talvolta con entrambe queste motivazioni. Dunque una somma di testimonianze, dirette e indirette, elementarmente concrete . Una lettura “reale” quantitativamente e qualitativamente complessa, che si propone ancora di fare riflettere.
Un contributo essenziale, o comunque necessario, nella costruzione di quel mosaico che sarà la Storia della Deportazione e che consente finalmente maggiori approfondimenti e molteplici direttrici di lavoro ed elaborazioni.
Potrei qui riproporre integralmente l’introduzione e la prefazione che Daniele Jallà, curatore della pubblicazione, ebbe a scrivere per “Compagni di Viaggio”, con la prima ricerca dei superstiti dei KZ contenuti in 123 trasporti: si tratta di un “work-in-progress”, una ricerca in corso che invita quanti ne furono protagonisti alla partecipazione, con suggerimenti, modifiche particolareggiate, integrazioni documentate , assumendo in tal modo il significato di impegno comune.

Ha un senso occuparsi di un tema così specialistico come la ricostruzione dei trasporti dei deportati ai KZ, tema che non può venire omologato a tanti altri, vuoi per i contenuti, vuoi per i messaggi che racchiude ?
Non si può non porsi interrogativi di questa natura, anche perché ci troviamo in presenza di circostanze che continuano a sollecitare confronti tra ieri e oggi, e che ci costringono a ripensare continuamente le ragioni di quello che è stato “quel” nostro passato. Anche noi constatiamo una sorta di appannamento storico della nostra esperienza, che si traduce di conseguenza in un’attenuazione nella generale coscienza civile di ciò che è stato il Nazismo.

Sulla deportazione italiana non esiste ancora un’opera storica complessiva; ma le coordinate storiche, la lacuna della ricerca sistematica di una ricostruzione quantitativa rigorosamente documentata , e più probabilmente possibile ed incontestabile, ha sviluppato nell’ANED la volontà di realizzare questa annosa ricerca. Questo anche per meglio individuare le singole esperienze, fuse all’interno della più grande tragedia collettiva. Tanti, i più mossi dall’intento di tramandare il ricordo di quanti morirono con nobile semplicità, sono andati tracciando il quadro di un’esperienza che non si esaurisce nelle vicende personali o di gruppo, ma si inserisce in un contesto più ampio di valori umani.
Questa ricerca vuole rendere testimonianza ai compagni di lotta contro il nazifascismo: forse essa costituisce una grande, penosa occasione.
Non è “l’ossessione del ricordo” ma l’urgente pressione di un’esigenza morale: fissare e tramandare questi elenchi che sono per lo più necrologi è anche il risultato di una pietosa curiosità per una morte sempre più inammissibile di un’umanità sostenuta dalla fede nella Libertà.
Ebbene, quelle che erano apparse in “Compagni di Viaggio” come timide escursioni, hanno assunto in questi ultimi anni quasi una dichiarazione d’intenti collettivi, proseguendo gli scavi in corso sulla deportazione negli anni 43-44-45 degli Italiani sotto il cielo del Terzo Reich. Abbiamo così scoperto oltre 40 mila matricole: 40 mila vicende concentrazionarie, momenti certi di storia nel buio inverno dei Lager.

È una ricerca complessa e inestinguibile, resa ancor più difficoltosa dall’esiguità delle fonti orali – ormai superstiti sono solo 1.500 –; ognuno di noi si porta dentro il proprio passato, che vuole essere un tassello di verità e che potrebbe promuovere una rinnovata ampia riflessione storica e culturale, avendo ormai concretamente trasferito e dato un futuro alla memoria, rinnovando quella “globalizzazione” della solidarietà che conoscemmo nei campi nei lontani anni 43-44-45.
Si è evidenziato, più in generale, che lo studio della deportazione femminile e dei molti deportati politici inviati nei campi di eliminazione, usati nei lavori forzati nell’industria degli armamenti del Terzo Reich , distribuiti nei Subkommandos, e che rappresentano la larga maggioranza della Deportazione Italiana, non è mai andato al di là di qualche ricerca specializzata. Il destino loro non è stato mai particolarmente raccontato. Così essi, i 40.000 deportati.italiani, restano sullo sfondo dell’interesse storico-scientifico, mentre le fonti del lavoro forzato sono state o distrutte o disperse. Le testimonianze dei “testimoni del tempo” ancora viventi, peraltro sempre più difficoltose da reperire e che debbono poter resistere ai metodi storici della “storia orale”, necessitano di un più puntuale inserimento.

Certo è stato difficile spiegare la voracità di profitto per le SS, ma oggi sappiamo a cosa era dovuta questa insaziabilità, conosciamo i fini, i valori di quella produzione coattiva di schiavi, pallidi spettri, sbattuti assiepati in fetide baracche grigiastre. È meno inafferrabile quella nefasta volontà per disumanizzarci e renderci schiavi. I numeri di matricola scorrono incessantemente e ogni Lager è l’ansa di un grande fiume. Un lungo elenco di matricole che ci attanagliano, ma è così che ci hanno voluti. Con indefinita “suspence” siamo tornati alla conquista dell’identità: una umana identità.

Da lungo tempo ho immaginato questa “lista” senza volto e tuttavia con troppi volti. Non avevo immaginato, dopo l’iniziale silenzio, una tale ressa di presenze, così differente, così imponente.
Angosciato per gli aspetti che nasconde, e che, ad ogni minuto, ha suggerito “Fèrmati!”, ho rappresentato questi “estratti” per la conoscenza delle generazioni che a noi succederanno. Talvolta, chiudendo il cavo della mano, non ho raccolto nulla, nessuna notizia; ma poi il “chip” sotto la pelle della mano ha raccolto tutto, e ora tutto si scioglie dentro la pubblicazione di queste liste.
Certo questi lunghi elenchi hanno una compattezza drammatica; dietro la metamorfosi dell’uomo deportato, reso numero di matricola, vi è una potenza tremenda, l’impossibile tentativo di “rimuovere” quella visione crudele per renderlo libero da ogni tormento. Ma non è stato così. E sono ormai trascorsi cinquantacinque anni.