Costituzione: 18 settembre 1943
Ubicazione: Italia, Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo.

Oggi non resta più traccia materiale del Polizeihaftlager di Borgo San Dalmazzo, presso Cuneo. Questo è un campo di transito che funziona come campo di raccolta di ebrei, italiani e non, tra il 18 settembre 1943 e il 21 novembre dello stesso anno; e poi – sotto controllo repubblichino – dal 9 dicembre al 13 febbraio 1944.

Da questo Lager passano circa quattrocento persone, delle più diverse nazionalità europee: per molte di esse il campo costituisce il punto di non ritorno di una fuga che dura ormai da cinque anni. Di lì, trecentocinquantadue hanno come meta finale Auschwitz, a cui sopravvivono, secondo le ultime ricerche, non più di dodici persone; due vengono avviati a Buchenwald.

Tra questi “nemici del Reich” e della Repubblica di Salò – 148 donne e 201 uomini gli internati nella prima fase di attività del campo, 18 donne e 8 uomini, in prevalenza italiani, per la seconda fase – non mancano i giovanissimi: 78 non arrivano ai ventuno anni; sette di loro hanno meno di un anno di età. Ventisei sono gli ultrasessantenni (di cui tre ottantenni).

Gli italiani, tra coloro che subiscono la deportazione in campo di sterminio, furono – per le ragioni che si vedranno più avanti – una stretta minoranza (23 su 354); gli altri, accomunati dalla persecuzione razzista nazifascista, pur con la prevalenza di polacchi (119) e francesi rappresentavano un po’ tutte le nazionalità europee: ungheresi, greci, tedeschi, austriaci, rumeni, russi, croati.

Il campo è collocato in una caserma degli alpini intitolata ai “Principi di Piemonte”, a poca distanza dalla stazione ferroviaria e all’imbocco delle valli Gesso e Vermenagna. Oggi solo due epigrafi, a memoria degli eventi che si svolsero in quei mesi, ricordano la detenzione e la partenza dei convogli per Auschwitz, dopo il passaggio in altri campi di transito francesi, Drancy, o italiani, Fossoli e, in due casi, Bolzano.

La storia del campo si suddivide quindi in due periodi distinti, anche se molto ravvicinati nel tempo.

Prima fase: settembre-novembre 1943.

Con l’8 settembre e il disfacimento della IV Armata è venuto meno ogni controllo italiano sui dipartimenti della Francia meridionale occupati dall’esercito nel novembre 1942. La zona italiana, specialmente quella di Nizza e le Alpi marittime, ha accolto tra il 1942 e il 1943, con un sistema chiamato di “residenze forzate” o “assegnate”, ma che assicura una complessiva anche se precaria sicurezza, diverse migliaia di ebrei non francesi rifugiati nella Francia meridionale e braccati dalla feroce persecuzione dei nazisti. Una di queste località di residenza è il paese di St.-Martin Vésubie, nella vallata omonima, che finisce per accogliere oltre mille ebrei di varie nazionalità sopravvissuti in relativa tranquillità fino alla data dell’armistizio.

La val Vésubie è collegata al Cuneese da due valichi alpini, percorsi all’epoca da strade militari che seguono tracciati ben più antichi (vie del sale, strade di caccia reali): il colle delle Finestre e il colle Ciriegia, a oltre 2400 metri di altitudine. Per questi valichi, a partire dal 13 settembre, un migliaio di ebrei di St.-Martin cerca la salvezza, anche nella convinzione che l’armistizio avrebbe reso l’Italia un territorio sicuro. Interi gruppi familiari, per un totale stimato intorno alle mille persone, raggiungono così la valle Gesso e si riversano sui paesi (Entraque, Valdieri) circostanti Borgo San Dalmazzo. L’esodo è reso anche più drammatico dal fatto che si trovano tra i profughi anziani e bambini, e comunque persone non abituate a percorsi di montagna. D’altronde quelli rimasti a St.-Martin vengono prelevato dai nazisti al loro arrivo e immediatamente deportati.

Negli stessi giorni i nazisti occupano Cuneo (12 settembre) e piccoli gruppi di antifascisti danno vita ai primi nuclei partigiani. Il 18 settembre un bando del comando SS intima agli “stranieri…nel territorio di Borgo San Dalmazzo e dei comuni vicini” di presentarsi al “Comando Germanico in Borgo San Dalmazzo, Caserma degli Alpini”. Trecentoquarantanove persone, soprattutto ebrei polacchi, francesi e tedeschi (ma anche austriaci, romeni, ungheresi e greci) si presentano spontaneamente o vengono rastrellate e rinchiuse nei locali della caserma, mentre gli altri cercano rifugio, in modo capillare, presso la popolazione delle valli; alcuni si uniscono alle bande partigiane. Agli “stranieri” internati nel campo si aggiungono per breve tempo gli ebrei di Cuneo, arrestati il 28 settembre ma poi rilasciati (non è chiaro per quale ragione) il 9 novembre.

Per due mesi gli internati della caserma vivono in un regime di segregazione priva del livello di violenza che caratterizza altri centri analoghi. Un minimo di assistenza viene loro data grazie all’intermediazione di autorità locali e è permessa la visita del vice rabbino di Torino. Anche le poche fughe riuscite non hanno eccessive ripercussioni sulla condizione dei prigionieri. I malati ottengono l’autorizzazione al trasferimento negli ospedali di Borgo e – per i casi gravi – di Cuneo.

All’esterno del campo sorge un’organizzazione sia per l’assistenza agli internati, sia per aiutare le centinaia di fuggiaschi dispersi nel territorio. Questi ultimi sono accolti da singole famiglie di valligiani o vengono messi in contatto con una rete di soccorso che va da Genova fino a Milano e alla frontiera svizzera, e che si avvale principalmente della collaborazione del clero locale. Parroci e viceparroci dei Comuni montani svolgono un capillare lavoro di assistenza e di collegamento coi gruppi partigiani e con la “resistenza civile” (ricorderemo, oltre a don Raimondo Viale, il “prete giusto” reso noto dal libro omonimo di Nuto Revelli, il viceparroco di Valdieri, don Francesco Brondello, riconosciuto “Giusto tra le Nazioni” con una cerimonia svoltasi il 2 settembre 2004 nella sinagoga di Cuneo). Molti ebrei possono così espatriare o spostarsi, grazie a documenti falsi, verso l’Italia Centrale: alcuni vengono nuovamente arrestati e deportati. Altri restano in clandestinità nel territorio, per lunghi mesi spostandosi di valle in valle, spesso incontrando l’arresto o la morte; altri si uniscono alle bande partigiane.

Per gli internati “stranieri” della caserma la sorte è comunque segnata. Il 21 novembre 1943, su ordine dell’Ufficio antiebraico della Gestapo di Nizza, vengono condotti alla stazione; di qui, caricati su carri merci, avviati verso Drancy, via Savona-Nizza. Il loro numero (328 sui 349 ingressi) è diminuito da alcuni casi di fuga, da morti per malattia e dal fatto che i ricoverati all’ospedale di Cuneo vengono risparmiati (riescono a nascondersi con la complicità del personale). Diversa sorte tocca ai quarantuno malati ricoverati all’ospedale di Borgo, caricati sui vagoni insieme agli altri.

La maggior parte del gruppo parte poi da Drancy per Auschwitz meno di un mese dopo, il 7 dicembre; gli altri seguono lo stesso destino nei trasporti del 17 dicembre e del 27 gennaio. La ricerca di Liliana Picciotto ha identificato 328 nominativi; rimangono alcuni casi incerti, gli altri non deportati (rispetto ai 349 internati registrati in ingresso al campo) sono riusciti a salvarsi, con la fuga o in altre circostanze. Non più di dieci persone arrivano a vedere la liberazione.

Dopo la deportazione del 21 novembre il Polizeihaftlager di Borgo San Dalmazzo, rimasto vuoto, cessa temporaneamente la sua attività.

Seconda fase: dicembre 1943-febbraio 1944.

Nel giro di pochi giorni dalla chiusura del campo a gestione tedesca, la Questura di Cuneo, in applicazione dell’ordinanza di polizia n. 5 della RSI (a firma Buffarini Guidi), destina la caserma al concentramento degli ebrei della provincia; le prime due internate, provenienti da Saluzzo, risultano rinchiuse il 4 dicembre 1943. Mentre gli ebrei di Cuneo e Mondovì riescono a mettersi in salvo, la comunità di Saluzzo (a cui si sono aggiunti alcuni rifugiati da Torino) viene pesantemente colpita; singole persone, che vivono in clandestinità, vengono via via arrestate. Ventisei persone, in maggioranza donne, sono così internate nella caserma, sorvegliata e diretta da italiani. Anche questo gruppo, di cui si possiede l’elenco, non è omogeneo: tre “stranieri” vengono probabilmente dal gruppo di St.-Martin Vésubie; due di loro sono padre e figlia (nata nel 1930). La più giovane ha 17 anni; i sessantenni sono tre. Il 13 gennaio 1944 la Questura di Cuneo dispone che i ventisei internati, 18 donne e 8 uomini, siano “tradotti straordinariamente al campo di concentramento di Carpi (Modena)”, ossia a Fossoli. Le autorità italiane rispondono così alle direttive dei nazisti, che, volendo raggiungere in tempi stretti un numero di prigionieri sufficiente a organizzare un trasporto ad Auschwitz, hanno sollecitato l’invio di internati. Il convoglio che parte da Fossoli il 22 febbraio trasportaa così, oltre a Primo Levi, anche 23 dei 26 internati di Borgo (5 uomini e 18 donne). Di essi risultano immatricolate solo sei persone (quattro uomini e due donne).

Con questo trasporto viene a chiudersi definitivamente il campo di Borgo San Dalmazzo.

Un epilogo

Tragico ma emblematico epilogo, che si può scegliere per concludere l’intera vicenda, è la sorte di sei ebrei arrestati fra il marzo e l’aprile 1945 tra Cervasca e Demonte e rinchiusi nel carcere di Cuneo: due austriaci, due polacchi, un francese e un lussemburghese, giunti da St.-Martin quindici mesi prima. “Consegnati ai militi della B[rigata] N[era] il 25.4.1945”, come riporta il registro delle carceri, vengono fucilati dai repubblichini presso il viadotto Soleri lo stesso giorno, quando ormai le forze partigiane sono in procinto di liberare la città: “L’ultimo eccidio di ebrei sul territorio liberato d’Europa, perpetrato da fascisti italiani”.

Bibliografia essenziale

Per la vicenda nel suo insieme:
A. Cavaglion,
Nella notte straniera. Gli ebrei di St.-Martin Vésubie, Cuneo, L’Arciere, 1981, 1991.
Giuseppe Mayda,
Ebrei sotto Salò.La persecuzione antisemita 1943-1945, Milano, Feltrinelli, 1978.

Per l’organizzazione del campo e dei trasporti e le schede sui singoli nominativi:
Liliana Picciotto,
Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Milano, Mursia, 2002

Molte vicende biografiche sono intensamente ricostruite in:
Adriana Muncinelli,
Even. Pietruzza della memoria. Ebrei 1938-1945, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1994.

Voci enciclopediche:
E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi (curr.),
Dizionario della Resistenza, II. Luoghi, formazioni, protagonisti, Torino, Einaudi, 2001, s.v.”Ebrei nella Resistenza”.
W. Laqueur, A. Cavaglion (curr.),
Dizionario dell’Olocausto, Tortino, Einaudi, 2004, s.v. “Borgo San Dalmazzo”.

Lucio Monaco

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