Il campo di Bolzano-Gries aveva numerosi sottocampi.
Nella sua ricerca, pubblicata con il titolo “Il Lager di Bolzano”, Luciano Happacher fornisce alcune indicazioni su alcuni di essi.
Nel suo libro “Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano“, Dario Venegoni identifica 21 nomi di deportati in questo campo satellite
Certosa
Il campo di Certosa Val Senales ospitava solo una cinquantina di persone. In un primo tempo esse vennero alloggiate in baracche presso il paese; in seguito vennero trasferite nella caserma della Guardia di Finanza. Il lavoro principale dei deportati consisteva nel trasporto di materiale dalla stazione al paese. Ai primi di febbraio del 1945 il campo era praticamente vuoto.
“L’ombra del buio”, a cura di Carla Giacomozzi, riporta la testimonianza sul campo di Certosa dell’ex deportato Tullio Bettiol:
«Il 23 settembre 1944 fummo trasferiti in Val Senales. In Val Senales eravamo alloggiati dapprima in baracche di legno costruite sotto il paese di Karthaus (Certosa) e poi nella caserma della Guardia di Finanza. Il personale di custodia era sempre SS con anche militari della Wehrmacht. Ci portavano alla stazione di Malles con camion che dovevamo caricare e quindi trasportare a Certosa; ricordo scarponi e zaini francesi. Come internati anche qui eravamo politici ed ebrei, in tutto una cinquantina… Nel gennaio 1945 eravamo una trentina di ebrei ed una decina di italiani, ma verso la fine del mese il campo fu svuotato e quando avvenne la mia evasione (4 febbraio 1945) eravamo rimasti in quattro internati […]». «Voglio ricordare un episodio di umanità. Due care ragazze, Anna e Fina, proprietarie di un piccolo albergo di Karthaus, nonostante il divieto assoluto dei tedeschi, quando potevano ci fornivano qual cosa da mangiare e dei medicinali, con loro rischio personale».
Nel suo libro “Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano“, Dario Venegoni identifica 17 nomi di deportati in questo campo satellite
Era uno dei più grandi tra i sottocampi di Bolzano. Ospitava nei pressi di una caserma di Maia Bassa alcune centinaia di persone, tra uomini e donne. Nel suo libro “Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano“, Dario Venegoni identifica 104 nomi di deportati a Merano. Anche in questo caso la maggior parte del lavoro dei deportati consisteva nel trasportare materiale dalla stazione ferroviaria. Don Primo Michelotti, ispiratore del locale CLN, fu molto attivo nell’assistenza ai deportati di questo campo.
“L’ombra del buio”, a cura di Carla Giacomozzi, riporta la testimonianza sul campo di Merano dell’ex deportato Tullio Bettiol:
«Nel periodo fine agosto-inizi settembre 1944 fummo trasferiti a Merano, nelle caserme di Maia Bassa, vicino all’ippodromo e alla vecchia stazione ferroviaria. Il numero degli internati si aggirava sulle 400 unità tra uomini e donne; c’erano prigionieri politici ed ebrei, molti dei quali di origine lombarda. Il lavoro principale che lì si svolgeva consisteva nello scaricare da vagoni nella vicina stazione ferroviaria materiali di ogni genere (alimentari, quadri, tappeti, vestiario ed altro), materiale sicuramente razziato un po’ in tutta Europa, che veniva trasportato parte in caserma e parte (il più prezioso, per esempio quadri e tappeti) in un vicino castello. Ricordo il numero incredibile di rotoli di tappeti che lì si trasportavano. Rimanemmo a Merano fino al 23 settembre 1944».
Nel suo libro “Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano“, Dario Venegoni identifica 120 nomi di deportati in questo campo satellite
Era il maggiore tra i sottocampi di Bolzano. Costruito sulle rive del Talvera, all’imbocco della Val Sarentino, il campo fu costituito dopo il fallimento di un “trasporto” verso i campi della Germania e della Polonia. Una cinta di filo spinato circondava il campo, nel quale sorgevano 6 baracche di legno per i deportati, una piccola stalla per i cavalli e una piccola costruzione per il personale di custodia. Vi furono rinchiuse diverse centinaia di persone, adibite in prevalenza a lavori di falegnameria e soprattutto di allargamento della rete stradale nella zona. Nel suo libro “Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano“, Dario Venegoni identifica 501 nomi di deportati a Sarentino
“L’ombra del buio”, a cura di Carla Giacomozzi, riporta la testimonianza sul campo di Sarentino dell’ex deportato Giovanni Gasperin:
«Dopo l’ultima fallita spedizione per Mauthausen le SS alleggerirono il campo mandando fuori una parte dei prigionieri, fra cui un contingente sulle rive del Talvera, in un piccolo campo, del quale ci hanno fatto costruire il recinto in filo spinato e le baracche in legno, prefabbricate nel reparto fale gnameria del campo di Bolzano (reparto dipendente, se non erro, da un certo maresciallo Koenig). Il campo era situato sulla destra della strada che sale la valle di Sarentino, immediatamente prima di un ponte sul Talvera. […] Lungo un muro, credo di sostegno dell’argine, era stato ricavato un canale in sassi e cemento le cui acque servivano da gabinetto per i prigionieri. Il campo era pressoché quadrato, con la baracca del comando e delle guardie, […] la stalla dei cavalli, […] il cortile delle adunate e della conta bigiornaliera; mi pare che le baracche dei prigionieri fossero sei, disposte su due o tre file. Ogni baracca conteneva una quarantina di prigionieri. Le guardie erano quelle del corpo trentino (Corpo di Sicurezza Trentino) integrate da qualche SS; […] il campo era comandato da un maresciallo della Wehrmacht, ferito in guerra e riutilizzato. […] I prigionieri venivano in parte adoperati per portare macchinari e materiali di fabbriche sotto le gallerie, per riparare le strade e lavorare in segherie o altre attività a Sarentino. […] Il 30 aprile fummo riportati a Bolzano e liberati il giorno successivo.».
La spedizione per la Germania soprannominata sarebbe dovuta avvenire il 25 febbraio 1945, ma i bombardamenti sulla ferrovia del Brennero la resero impossibile. In tale periodo il campo di Bolzano contava circa 2.300 presenze contro le l.500 ospitabili dalle strutture; in più, gli arrivi di prigionieri dalle carceri italiane non cessavano.
In una sua memoria inedita datata 22 giugno 1945, riportata nel libro di Dario Venegoni “Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano”, padre Diego da Loreggia (Luigi Carraro) fornisce una preziosa descrizione particolareggiata della vita e del lavoro nel sottocampo di Sarentino.
“Il lavoro preponderante si svolgeva attorno a una strada che doveva essere allargata. (…) La vita che si conduceva qui era come quella del campo grande, con questa differenza, che ordinariamente c’era più da lavorare. L’alzata era alle cinque; alle sei, adunata; alle sei e un quarto, partenza per il lavoro; vi era chi arrivava al lavoro alle otto. A mezzogiorno, se arrivava a orario, c’era il rancio, altrimenti si doveva continuare a lavorare fino al suo arrivo. Dopo mezz’ora dal rancio si riprendeva il lavoro, che durava fino alle cinque e mezzo. Ore lunghe, ore interminabili, specialmente se il lavoro era pesante! (…) Nelle domeniche si lavorava fino a mezzogiorno; si incominciò il giorno di Pasqua, forse perché era Pasqua, a lavorare tutto il giorno. (…) Ogni mattina usciva da quel campo una colonna interminabile di prigionieri (duecento persone), inquadrati a cinque a cinque, tutti con il piccone o il badile sulle spalle. Fiancheggiati da guardie, vestiti da galeotti, tutti con la croce di S. Andrea ben visibile sulla schiena, mi dava proprio l’impressione di vedere una colonna di schiavi”
I deportati, alloggiati in una caserma, erano stati selezionati in ragione della loro specializzazione professionale. Essi erano impiegati nella produzione di una fabbrica di armi sfollata da Cremona in seguito ai bombardamenti alleati. Nel suo libro “Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano“, Dario Venegoni identifica 271 nomi di deportati in questo sottocampo.